LA STORIA CAPOVOLTA di Piero De Sanctis
Putin, durante la celebrazione del Giorno della Vittoria del 9 maggio scorso sul nazifascismo, aveva riacceso grandi speranze per una sospensione del conflitto in Ucraina. Il Parlamento americano, per tutta risposta, l’11 maggio, ha espressa, più chiaramente del solito, la volontà di proseguire la guerra «fino all’ultimo ucraino». La Camera statunitense ha immediatamente disposto aiuti in armi e assistenza all’Ucraina per 40 miliardi di dollari, sette in più di quanti ne aveva richiesti Biden, oltre ai 13 miliardi di dollari già stanziati dalla Camera un paio di settimane prima.
Il senso politico di quest’ultima estensione della Nato con l’inclusione della Svezia e della Finlandia, stracciando tutti gli accordi sottoscritti in quasi 200 anni di neutralità, ce lo svela lo scrittore Michael Hirsch sulla rivista Foreign Policy: «Ora la Finlandia ha la capacità militare e la volontà politica per diventare un avamposto dell’Alleanza Atlantica a pochi chilometri dalla San Pietroburgo di Putin».
Ma ciò, ora, viene gabellato, dai governi svedese e finlandese, come necessità difensiva contro eventuali attacchi russi per conquistare l’Europa intera. Si tratta, in realtà, di completare l’accerchiamento missilistico della Nato contro la Russia. Ecco, dunque, un primo capovolgimento dei fatti storici. Frutto dell’inganno della politica guerrafondaia della Nato e dei suoi lacchè.
L’Ambasciatrice e capo missione in Svezia, Elena Basile, nell’esprimere seri dubbi sulla necessità dell’inclusione della Svezia nella Nato, così si esprime: «L’abbandono di una tradizione di neutralità durata più di 200 anni, che ha radici profonde nella cultura politica del paese, avrà certamente dei contraccolpi e potrà essere un fattore decisivo della società». Anne Linde, ministro degli esteri socialdemocratico, ancora a febbraio scorso, dichiarava che la neutralità restava un cardine della politica estera svedese. I popoli dell’Urss hanno conosciuto bene i governanti capitalisti finlandesi fin dal lontano 1929, allorquando questi, per paura dei movimenti rivoluzionari sull’onda della Rivoluzione d’ottobre del ’17, si allearono con i fascisti e crearono il movimento lapuista (da Lapua, sua città d’origine), la cui caratteristica fondamentale era un’accesa propaganda antisovietica. I suoi aderenti assalirono le sedi comuniste e le altre organizzazioni di sinistra, commettendo ogni sorta di violenza contro i dissidenti. Il Parlamento, eletto nell’atmosfera creata dalla violenza fascista, approvò una serie di leggi anticomuniste ed elesse, nel 1931, il presidente Svinhufvud, passato alla storia come il soffocatore della rivoluzione finlandese.
All’alba del 22 giugno 1941 la Germania nazista attaccò a tradimento l’Unione Sovietica e, solo un’ora e mezza dopo l’aggressione, il governo tedesco dichiarò formalmente la guerra all’Urss. Nella stessa giornata il ministro degli esteri della Germania pubblicò una falsa notizia che, secondo il ministro Ribbentrop, scopo della guerra era quello di «di salvare l’intera civiltà mondiale dal pericolo mortale del bolscevismo». Al suo seguito entrarono in guerra contro l’Unione Sovietica l’Itala, la Romania, la Finlandia e l’Ungheria. Nella sola Finlandia, contro i sovietici, operavano l’armata tedesca “Norvegia” e due armate finlandesi sostenute dalla V flotta aerea tedesca e dall’aviazione finlandese. Ma il protrarsi della guerra, anche dopo la disfatta di Stalingrado e la totale mancanza di materie prime di armamenti e di generi alimentari, trasformò la Finlandia in un paese vassallo della Germania nazista. Solo il 4 marzo 1945, a due mesi di distanza dalla fine della guerra, la Finlandia dichiarò guerra alla Germania, nella speranza di avere un posto tra i vincitori. Questa fu la degna conclusione della ingloriosa “fratellanza d’armi” con i nazisti tedeschi. Dunque, fu la Finlandia, insieme ai nazisti, ad aggredire il giovane stato socialista e non viceversa.
Ma già nel febbraio del 1946, negli Stati Uniti, incominciava la crociata contro l’Urss e i comunisti. «Teniamoci la nostra bomba atomica» disse il dott. Virgil Jordan, presidente della National Industrial, al Conferenze Board, organizzazione sostenuta dalla grande industria militare americana. «Miglioriamole, costruiamone altre. Fissiamo il principio che su ogni posto del mondo ove abbiamo motivo di sospettare una violazione delle norme del disarmo pende idealmente una bomba atomica; e se c’è pericolo, sganciamo la bomba immediatamente, senza rimorsi». Il bellicista dott. Jordan aggiungeva poi, per maggior chiarezza, che il mondo era di fronte ad una scelta definitiva: o tutto o nulla. O «la libertà economica per il mondo intero», o «il servaggio socialista». Da questa scelta non poteva salvarci la fallimentare Organizzazione delle Nazioni Unite. Essa non era che «un grosso stratagemma per immobilizzare, sterilizzare, esaurire, dissipare le capacità di un’America libera di determinare il corso degli avvenimenti nel mondo». Nelle pubblicazioni propagandistiche del periodo si sosteneva l’idea della inevitabilità dell’instaurazione della «Pax Americana» che seguiva la storica «Pax Romana» dell’epoca antica e la «Pax Britannica» del XIX secolo.
Il 12 aprile 1945, improvvisamente, muore Franklin Delano Roosevelt (convinto sostenitore della Coalizione Antifascista), tre anni e mezzo prima della scadenza del suo mandato. Alla base della sua politica estera, negli anni della guerra, vi era la sincera convinzione che soltanto al fianco dell’Unione Sovietica si sarebbe salvaguardata la sicurezza degli interessi della nazione americana e, sebbene egli fosse contro il socialismo, ciò non gli impedì di apprezzarne i lati positivi. Fu sostituito dal vicepresidente Harry Truman appartenente all’ala conservatrice e reazionaria dello Stato del Missouri, la quale riteneva, al contrario, che gli interessi americani potessero essere salvaguardati solo dal dominio americano sul mondo. Ma a metà del 1945, egli aveva già purificato il governo Roosevelt con il licenziamento di 6 su 10 ministri. Non a caso il governo Truman fu definito dalla stampa americana la «cricca del Missouri».
In un documento segretissimo del Dipartimento di Stato, presentato a Truman, nel quale si sottolineava l’aumentata simpatia nei confronti dell’Unione Sovietica, si legge: «…la maggior parte degli europei considera l’armata rossa la sua liberatrice. Persino in Occidente è opinione diffusa che l’esercito sovietico abbia dato un contributo fondamentale alla disfatta delle potenze europee dell’Asse». Documento che diffuse nei circoli dirigenti americani, appena dieci giorni dopo la morte di Roosevelt, produsse un vero e proprio panico, da costringere Truman, il 23 aprile 1945, a dire: «Io intendo svolgere una politica dura nei confronti della Russia». Dichiarazione che trovò in Churchill viva ammirazione. Fu l’inizio della Guerra Fredda. Quattro mesi dopo, il 6 e il 9 agosto, a Hiroshima e Nagasaki, gli americani iniziarono i primi massacri di massa sulle popolazioni civili senza alcun preavviso, dove morirono o furono gravemente ustionati dalle radiazioni, circa 450.000 giapponesi. Nel raggio di 5 km dall’epicentro scoppiarono incendi e i nove decimi delle case di Hiroshima e Nagasaki furono ridotte in cenere. Il Generale Groves, capo del progetto Manhattan, davanti ad una Commissione del Congresso, affermò che la morte da radiazione era «assolutamente piacevole». Solo quattro mesi dopo Hiroshima, il generale Douglas Mac Arthur sosteneva la necessità di colpire l’Urss con l’arma atomica. Questi bombardamenti atroci furono solo il primo passo della politica americana del ricatto atomico rivolto innanzi tutto contro il primo Stato Socialista.
Queste testimonianze, insieme a tante altre, ci forniscono un’immagine di un’America ossessionata dalla paura del comunismo e impegnata a liberarne il mondo, nella convinzione di assolvere così alla missione affidatale dalla Provvidenza. Il 6 febbraio 1949, il cardinale Spellman di New York, dalla cattedra di S. Patrizio, predicava contro i comunisti: «gli assassini più diabolici e perversi del mondo» e ne sollecitava la «distruzione». Alle idee di pace, di collaborazione, di sviluppo e di socialismo, il governo Truman contrapponeva la “teoria” dell’anticomunismo.
L’anticomunismo occupò, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una posizione dominante nella vita interna (La caccia alle streghe) e nella politica estera degli Usa. Il mito del «il complotto internazionale comunista», creando un’atmosfera di tensione e di paura, servì alla propaganda reazionaria per stabilizzare la situazione del paese, per “disciplinare” i lavoratori e costringerli a fare nuove concessioni in nome della «sicurezza nazionale». Contemporaneamente, il governo Truman, utilizzò l’anticomunismo come un’arma di esportazione per mascherare la sua politica espansionistica. La campagna anticomunista si impossessò di tutti i canali d’informazione di massa, creando nell’opinione pubblica americana, un senso di psicosi anticomunista. Ovunque venivano visti comunisti infiltrati nell’apparato statale del paese. Fu messo in moto, contro l’Urss, la produzione cinematografica di Hollywood, furono stampati milioni di libelli anticomunisti e creati nuovi settori di studi, come la «sovietologia» e la «marxlogia».
Con il cambio dei poteri al vertice, dal democratico Truman nel 1953, al generale repubblicano Dwight Eisenhower, la musica non cambia. Parlando agli studenti della Columbia University egli disse: «Gli Stati Uniti d’America hanno un compito oneroso, ma onorifico. Essi hanno la missione di guidare il mondo. La vostra generazione ha la meravigliosa possibilità di recare il proprio contributo perché questa guida sia un modello, intellettuale e materiale per l’eternità».
Come i governanti Usa intendessero «guidare il mondo», e passare al programma della «liberazione dal comunismo dei popoli che si trovavano sotto il dominio sovietico» l’abbiamo visto e vissuto nei decenni successivi, allorquando, sotto la copertura dell’anticomunismo, vennero aggrediti e massacrati popoli e nazioni in lotta contro il neocolonialismo angloamericano, dando vita, allo stesso tempo, a programmi terroristici, come in Brasile e Cile.
Oggi, se si analizzano gli avvenimenti politici importanti, non superficialmente, ma con la serietà di un metodo scientifico, non si può non cogliere l’esistenza di un filo rosso che collega il passato al presente. Ancora una volta, sotto mutate condizioni economiche, sociali e militari, l’attuale guerra che l’Ucraina combatte per conto degli Stati Uniti e la Nato, contro la Russia e, in nome dell’anticomunismo, non è altro che l’antico “vizio” degli Stati Uniti di distruggere il primo paese al mondo socialista, che è sempre stato e sempre sarà, nel cuore della classe operaia mondiale.
Teramo 14 – 05 – 2022