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S  U  L     S A  L  A  R  I  O     M  I  N  I  M  O  di Piero De Sanctis

L’economia politica classica tocca in via approssimativa
il vero stato delle cose, senza per altro formularlo in modo
consapevole. Essa non può farlo finché è chiusa nella sua
pelle borghese. (Marx, Il Capitale).

Da qualche mese a questa parte, sulla stampa nazionale e sui canali televisivi più importanti, di fronte ai violenti attacchi del governo Meloni contro il movimento dei lavoratori e le sue organizzazioni, contro la crescente miseria, oppressione, schiavitù e sfruttamento delle masse popolari, si è tornati a parlare, ancora una volta, della necessità di una grande battaglia per gli aumenti salariali e, dell’introduzione di un salario minimo. La teoria del salario nel capitalismo costituisce una parte organica, molto complessa, nella dottrina economica di Marx. Egli ne scoprì le leggi che determinarono e chiarirono l’origine dello sfruttamento del lavoro operaio. Già nella I Internazionale la questione del salario fu oggetto di un infuocato dibattito.

Qualche settimana dopo la morte di Lassalle1, in una affollata assemblea in St. Martin’s Hall a Londra, fu fondata, il 28 settembre 1864, l’Associazione Internazionale degli Operai (la prima Internazionale). Il meeting, pensato e organizzato dagli operai Odger (presidente dei sindacati inglesi) e da Cramer (segretario dell’Unione Muratori parigina), come proposito di una comune azione a sostegno della lotta degli operai polacchi contro la repressione Russa, ben presto si trasformò in un grande incontro di operai e intellettuali provenienti da tutte le parti dell’Europa.

L’assemblea, dopo un vivace dibattito, decise di nominare un Comitato e di redigere una dichiarazione dei principi e degli Statuti provvisori (totalmente opera di Marx) che vennero letti e accettati con grande entusiasmo. Della dichiarazione dei principi, passati alla storia come l’Indirizzo Inaugurale, Beesly (professore di economia politica dell’Università di Londra che presiedette al meeting di fondazione), disse che era l’esposizione più potente e precisa della causa operaia che fosse mai stata scritta.

Della suddetta commissione del Comitato faceva anche parte, dice Marx, «un vecchio falegname owenista, J. Weston, carissima e bravissima persona che aveva steso un programma pieno della massima confusione e d’indicibile prolissità». Weston aveva presentato due tesi (mutuate peraltro da Robert Malthus, il quale asseriva che un aumento dei prezzi monetari del salario produceva un rialzo generale dei prezzi monetari delle merci), che assiduamente difendeva sul settimanale Beehive: 1) un aumento generale del salario non porterebbe nessun utile agli operai; 2) perciò i sindacati inglesi agiscono dannosamente. Tesi, continua Marx, «che se venissero accettate saremmo alla catastrofe».

Nella lettera del 20 maggio 1865, indirizzata ad Engels, Marx precisa ulteriormente il punto di vista di Weston e quali sono i due punti nodali della discussione: «1) il salario determina il valore delle merci; 2) se i capitalisti pagano oggi 5 scellini invece di 4, essi domani (a causa dell’aumento della domanda) venderanno le loro merci a 5 scellini invece che a 4. Per quanto ciò sia sciocco e si attenga soltanto alla pura apparenza esteriore, tuttavia, non è facile spiegare agli ignoranti tutte le questioni economiche che vi si raggruppano intorno».

Nella realtà, le cose vanno diversamente da come pensa Weston, per il quale all’aumento della domanda delle merci di prima necessità da parte dei lavoratori per via degli aumenti salariali seguirebbe, con ferrea necessità, uno spaventoso aumento dei prezzi di tutte le merci. Senza entrare in questioni di teoria economica, Marx ricorda a Weston il noto fatto  « i salari medi degli operai agricoli americani sono alti più del doppio  di quelli degli operai agricoli inglesi, quantunque i prezzi dei prodotti agricoli siano più bassi negli Stati Uniti che in Inghilterra, quantunque negli Stati Uniti regnino gli stessi rapporti generali fra capitale e lavoro che in Inghilterra, e quantunque la massa della produzione annua sia negli Stati Uniti molto più piccola che in Inghilterra».

Lo stesso tipo di problema si pose allorché in Inghilterra venne introdotta la legge delle 10 ore lavorative giornaliere, (rispetto alle 12 ore in vigore), che entrò in vigore nel 1848. Fu uno dei più grandi rivolgimenti economici mai riscontrati prima: un improvviso e obbligatorio aumento dei salari, non in alcune industrie locali, ma nei rami principali dell’industria, con i quali l’Inghilterra dominava i mercati mondiali.

«Il dottor Ure e il professore Senior – dice Marx – e tutti gli altri portavoce ufficiali dell’economia della classe borghese dimostrarono, – e sono costretto a dirlo con argomentazioni molto più solide di quelle del nostro amico Weston – che questa legge avrebbe suonato la campana a morto dell’industria inglese… […]. Essi asserivano che la dodicesima ora che si voleva tagliare al capitalista, era proprio l’unica ora dalla quale egli traeva il proprio profitto. Essi minacciavano una diminuzione dell’accumulazione del capitale, un aumento dei prezzi, perdita dei mercati, riduzione della produzione, conseguente ripercussione sui salari, e infine la rovina».

«Ora quale fu il risultato? Un aumento dei salari in denaro degli operai di fabbrica malgrado la diminuzione della giornata di lavoro, un aumento notevole del numero degli operai di fabbrica occupati, una caduta costante dei prezzi dei loro prodotti, un mirabile sviluppo delle forze produttive del loro lavoro, un allargamento costante e inaudito dei mercati per le loro merci». Eppure, ancora oggi, si ripete da parte degli economisti borghesi, la storiella secondo la quale un aumento generalizzato dei salari monetari porterebbe solo ad un aumento dei prezzi delle merci. È sufficiente ricordare la politica dei due tempi del periodo 1974-’75 durante il quale il salario e l’occupazione si trovarono sotto il fuoco incrociato delle politiche economiche capitalistiche. Il salario fu accerchiato da quattro posizioni: la politica tariffaria e dei prezzi; gli accordi sindacati-governo e sindacati-confindustria sul costo del lavoro; l’autonomia contrattuale delle categorie operaie; l’attacco al salario reale. Tutto ciò era necessario per salvare l’economia nazionale e per uscire dalla crisi. Tutto questo doveva essere il contenuto della politica economica del primo tempo. Il secondo tempo, quello dello sviluppo dello stato sociale, deve ancora arrivare.

Nell’opuscolo Critica al programma di Gotha, Marx criticò con estrema durezza tutte le inesattezze e i numerosi errori del nuovo manifesto che costituì la base del Congresso. Marx ed Engels non furono consultati nel merito del progetto e ricevettero la bozza soltanto nel marzo del 1875, come si evince dalla lettera di Engels a Bebel del 18(28) marzo 1875. In esso, al paragrafo II, Marx sostenne e dimostrò con rigore scientifico che Lassalle non sapeva cosa fosse il salario e che, seguendo gli economisti borghesi, aveva scambiato la parvenza con la sostanza.  Ma Lassalle non era solo: era il rappresentante di tanti grandi dirigenti operai che confondevano la nozione di valore  con la nozione di prezzo della forza lavoro.

Sarebbe, come in fisica, confondere il concetto di gravità con quello di peso di un corpo e, in economia, confondere il saggio del plusvalore con il saggio del profitto. «Plusvalore e saggio del plusvalore, sono in senso relativo, l’invisibile, l’essenziale da scoprire, mentre il saggio del profitto e quindi il profitto, forma del plusvalore, si mostrano alla superficie del fenomeno». (Marx). Tuttavia, rimane ancora in vigore la falsa convinzione che il salario sia la ricompensa del lavoro svolto dall’operaio ma il lavoro non è una merce e, quindi, il salario non può essere il suo prezzo. Il salario non è altro che il prezzo, della forza –lavoro dell’operaio. In proposito dice Marx: dopo la  morte di Lassalle si è fatta strada nel nostro partito la visione scientifica secondo cui il salario non è ciò che sembra essere, cioè il valore e rispettivamente il prezzo del lavoro, ma solo una forma mascherata del valore, rispettivamente del prezzo della forza-lavoro. Con ciò tutta la vecchia concezione borghese del salario avuta finora, così come la critica finora diretta contro di essa, è stata una volta per sempre gettata a mare e si è messo in chiaro che l’operaio salariato ha il permesso di lavorare per la propria vita, cioè di vivere, solo in quanto lavora per un certo tempo gratuitamente per il capitalista ( quindi anche per quelli che insieme al capitalista consumano plusvalore); che l’intero sistema di produzione capitalistico si aggira intorno al problema di prolungare questo lavoro gratuito prolungando  la giornata lavorativa, oppure sviluppando la produttività, cioè con una maggiore tensione della forza-lavoro, ecc.; che dunque il sistema di lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e più precisamente di una schiavitù che diventa sempre più dura nelle misura in cui si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, sia che l’operaio riceva una paga migliore, sia che riceva una paga peggiore.

Tra il maggio e giugno del 1865, Marx redasse un breve scritto Salario, prezzo e profitto in cui dimostrò che un rialzo generale dei salari avrebbe provocato una diminuzione del saggio del profitto (come facilmente si deduce dalla formula saggio del profitto=plusvalore/(capitale costante+capitale variabile)),  senza esercitare alcuna influenza sui prezzi medi delle merci  e sul loro valore. Questo scritto fondamentale di Marx non è tanto una critica degli errori e dei limiti dell’economia classica borghese, che ritiene essere il salario il valore e prezzo del lavoro stesso, quanto una geniale divulgazione di come si debbano esporre concetti scientifici difficili e complessi in forma semplice e accessibile.

Nell’ottobre del 1879, il Segretario generale della Federazione del Partito dei lavoratori socialisti di Francia (FPTSF), Paul Guesde, (partito nato dalla fusione delle diverse anime del socialismo francese), cominciò a lavorare a un programma politico, in vista della partecipazione alle elezioni. Per lo scopo, il segretario, chiese aiuto a Marx. I due s’incontrarono a Londra nel maggio del 1880, dove stesero, sommariamente, alla presenza di Engels, il programma economico. Ma tale programma, nel punto 3), prevedeva il salario minimo. Ciò fece andare su tutte le furie Marx che immediatamente propose l’eliminazione di «quella stupidaggine del salario minimo». In una lettera della figlia maggiore di Marx, Jenny, indirizzata al marito, racconta: «Rispetto alla questione di un salario minimo, forse ti interesserà sapere che papà ha fatto di tutto per convincere Guesde a non includere nel loro programma, spiegandogli che un provvedimento del genere, qualora venisse adottato, porterebbe al risultato per cui, in base alle leggi economiche, il minimo garantito diventerebbe il massimo. Ma Guesde ha tenuto duro col pretesto che così si sarebbe guadagna una certa influenza sulla classe operaia».

Ma c’è dell’altro: questa errata concezione, che fa del salario operaio il prezzo del lavoro, fa apparire il lavoro non retribuito (plusvalore) come valore retribuito. Su questa forma fenomenica che rende «invisibile il rapporto reale e mostra precisamente il suo opposto, si fondano precisamente tutte le idee giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di produzione capitalistico, tutte le sue  illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere apologetiche dell’economia volgare ».  E’ sempre stato un punto fermo del metodo di Marx quello di spiegare e dimostrare il nesso tra una questione apparentemente teorica astratta, come quelle del salario e del valore, e «l’interesse delle classi dominanti che hanno sempre bisogno di perpetuare la confusione».

Teramo 20-02- 2024

 

Nota: 1) Ferdinando Lassalle (1825-1864), socialista tedesco, fondatore dell’Associazione generale dei lavoratori tedeschi. Su una serie di importantissime questioni politiche ebbe una posizione opportunista, per la quale fu aspramente criticato da Marx e Engels.  

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