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UN ROMPICAPO COSMICO di Piero De Sanctis

In relazione agli enormi sviluppi tecnico-scientifici di questi ultimi decenni dell’astronomia, ottenuti  dalla messa in orbita attorno alla Terra di potenti radiotelescopi, si sono riaccesi e riproposti al pubblico vecchi interrogativi sulla nascita, sulla morte, sull’espansione e la contrazione dell’universo, nonché sui buchi neri e le onde gravitazionali. L’universo che le ultime grandi imprese astronomiche ci presenta, è totalmente nuovo e turbolento.  Nel suo profondo spazio, distante cieca 10 miliardi di anni luce da noi, il telescopio spaziale James Webb, puntando una piccolissima zona della volta celeste, ha osservato numerose galassie e stelle in formazione, oltre a stelle e galassie morenti. Molto diverso dall’universo tramandatoci da Newton, che, ancora nel 1915 era un “posto tranquillo”, placido, pacifico e costante, formato da tante stelle fisse disseminate uniformemente e di un’unica galassia: La via Lattea.

Ma quando Einstein cominciò a risolvere le sue equazioni di campo (dopo aver corretto, tra il mese di ottobre e quello di novembre del 1915, alcuni  errori, da lui stesso denunciati, come si evince da una lettera del 7 novembre inviata ad Hilbert: «Mi sono accorto circa quattro settimane fa che i metodi di dimostrazione da me usati fino ad allora erano illusori»), scoprì qualcosa di impressionante e imprevisto.

Come la maggior parte dei suoi contemporanei, Einstein era convinto che l’universo dovesse essere statico, né in espansione, né in contrazione. Ma la soluzione, che Einstein stesso ottenne delle sue equazioni di campo, era in netto contrasto con tale concezione. Ben presto si trovò nelle sabbie mobili delle equazioni cosmologiche che avevano confuso filosofi e fisici, come Newton, per intere epoche. Come dice il grande fisico teorico Michio Kaku «Il rivoluzionario Einstein non era ancora rivoluzionario abbastanza per accettare che l’universo si stesse espandendo o avesse avuto un inizio». Per superare questa contraddizione, egli ricorse ad uno stratagemma matematico, con l’introduzione di una costante numerica ad hoc che chiamò “lampda”(l) (in seguito fu chiamata costante cosmologica o energia del vuoto assoluto), per controbilanciare la gravità e permettere una soluzione statica.

Ma l’enigma, anziché chiarirsi, si fece più complesso, quando il fisico olandese Willem de Sitter, nel 1917, dimostrò che l’equazione originaria di Einstein ammetteva una soluzione, a dir poco, stravagante: quella di un universo svuotato di qualunque materia, eppure in espansione. Ciò rese Einstein molto contrariato e, nel 1918, cercò il modo di escludere tale soluzione, ma ben presto si rese conto che in essa non c’era niente di sbagliato. Inoltre, nel 1922, il matematico russo Alexander Friedmann dimostra che l’equazione iniziale di Einstein (quella senza lampda), ammette soluzioni non statiche con distribuzione omogenea di materia, corrispondente a un universo in espansione.  Nel quadro della teoria di Friedmann, che non poté essere approfondita per sopraggiunta morte nel 1926 all’età di 38 anni, emergono tre soluzioni possibili a seconda della densità dell’universo: se la densità dell’universo è maggiore di un valore critico, allora dopo l’espansione, l’universo comincerà a contrarsi. Se la densità è minore del valore critico, allora non ci sarà abbastanza  gravità per invertire l’espansione dell’universo che finirà nel grande freddo.

La questione rimase in sospeso fino al 1929, quando fu finalmente risolta dall’astronomo Edwin Hubble i cui risultati avrebbero rivoluzionato l’astronomia. Il suo universo comprendeva miliardi di galassie ognuna delle quali conteneva miliardi e miliardi di stelle. Inoltre tutte le galassie si allontanavano dalla Terra con velocità spaventosamente alte, direttamente proporzionali alla distanza da noi. In riferimento al lavoro teorico di Friedmann, Einstein, nel 1931, abbandonò formalmente la costante cosmologica dichiarando,  nel 1932, insieme a de Sitter: «Non farò più uso del termine lampda». Dopo la scoperta di Hubble, Einstein ammise che la costante cosmologica «è stato il più grande errore della sua vita». Ironia della sorte: Hubble scoprì sperimentalmente l’espansione dell’universo, che Einstein aveva previsto matematicamente un decennio prima. Se l’universo si espande con una certa velocità, allora deve essere possibile invertire il procedimento e calcolare il momento in cui quell’espansione ha avuto origine. Nel 2003, i dati satellitari dimostrano che l’universo ha 13,7 miliardi di anni. Nel 1949 il cosmologo Fred Hoyle battezzò questa ipotesi come la teoria del Big Bang.

Ma la legge “mai dire mai!” sembra che valga anche per le scienze fisico-matematiche. Nel 2004 la costante cosmologica è tornata alla ribalta, assumendo un ruolo da protagonista nella fisica del XXI secolo, durante il quale sono stati programmati ed effettuati numerosi esperimenti di alta precisione volti a provare l’accuratezza della relatività generale. Tutte hanno completamente confermato le previsioni teoriche della teoria della relatività generale.

Mal a scoperta più spettacolare del lavoro di Einstein riguarda sicuramente la cosiddetta energia oscura. Come abbiamo sopra ricordato, Einstein introdusse il concetto di costante cosmologica nel 1917 per evitare che l’universo si espandesse. Ma alcuni recenti risultati rivelano che, dopotutto, Einstein aveva forse ragione: «la costante cosmologica non solo esiste, ma l’energia oscura probabilmente costituisce la più grande fonte di energia dell’intero universo» (Il Cosmo di Einstein, Michio Kaku). La rinascita di lampda è derivata soprattutto dell’osservazione di supernove in galassie remote, le quali dimostrano, con grande sorpresa di tutti, che l’espansione dell’universo, anziché rallentare, in realtà, accelera. Nel 2003 il satellite WMAP ha verificato che il 4% della materia e dell’energia dell’universo deriva da atomi a noi familiari, il 23% da una sorta di materia oscura e il 73% dalla sua energia oscura.

Oggi molti fisici ritengono che la costante cosmologica possa rappresentare la chiave per spingersi oltre la teoria della relatività generale, verso una comprensione più profonda di spazio, tempo, gravità ed elettromagnetismo. Dopo duemila anni di indagini sulla materia, dai tempi di Democrito, la cui teoria può essere sintetizzata in queste due profondissime intuizioni: «Nulla nasce dal nulla e non c’è nessuna cosa  che possa trasformansi nel nulla», oggi i fisici hanno prodotto due grandi teorie: la relatività generale e la teoria dei quanti in aperta contraddizione tra loro. Mezzo secolo di tentativi per unificarle si è dimostrato vano. Il lavoro di quegli anni di Einstein mostra che la teoria unitaria dei campi e i problemi quantistici assai spesso erano al centro della sua attenzione. E sebbene tutti i suoi sforzi furono infruttuosi, egli non si stancò mai di cercare indizi che lo aiutassero  a realizzare il suo sogno.

Tuttavia, spiragli positivi per l’unificazione si sono aperti con la teoria delle supercorde, che sembra essere la candidata migliore per approfondire la teoria dei campi unificati, alla costruzione della quale, Einstein ha dedicato gli ultimi trent’anni della sua vita. Riusciremo un giorno a unificare le leggi di natura in un unicum semplice  e coerente? La risposta, forse, la possiamo trovare nell’ultima previsione di Einstein: «Il principio creativo risiede nella matematica. In un certo senso, quindi, ritengo sia vero che il pensiero puro possa afferrare la realtà come sognavano gli antichi».

Teramo 03-08-2022

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