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GLI STATI UNITI E LA COLONIZZAZIONE DELL’EUROPA di Piero De Sanctis

Questa guerra, che dura ormai da oltre sei mesi e di cui non si vede la fine,  cercata e voluta dalla Nato, che per decenni « ha abbaiato  alle porte della Russia» come disse Papa Francesco, sta spingendo di colpo circa 340 milioni di cittadini europei verso una situazione simile a quella dei paesi coloniali o ex coloniali. Grazie alla sudditanza all’Alleanza Atlantica e alla Nato, completamente dominati dagli americani, i nostri governanti europei sono precipitati in uno stato di soggezione al cospetto dei comandi Nato, condannando l’Europa e gli europei al più totale sfruttamento da parte di un capitalismo selvaggio, sotto la copertura della difesa del “libero mercato” e del neoliberismo, quest’ultimo responsabile di tutte le crisi economiche, da cent’anni a questa parte.

Come ci ricorda opportunamente lo storico Luciano Canfora, nel suo meraviglioso libretto di cento pagine La schiavitù del capitalismo (Ed. Il Mulino,2017), riportando  una frase dello scrittore Isaac Kadmi-Cohen tratta dal suo volume L’abominazione americana :« Il vero danno che minaccia la civiltà non viene dall’Oriente ma dall’estremo Occidente»(1930), il problema della colonizzazione dell’Europa risale agli anni ’20 del secolo scorso. In effetti il saggio di Kadmi-Cohen, aggiunge Canfora,« è in realtà molto interessante e verte su temi economico-politico-militari che furono al centro della politica mondiale negli anni fra le due guerre».

Finita la prima guerra mondiale con la vittoria della Francia, dell’Inghilterra e dell’Italia e la sconfitta dell’impero austroungarico, si aprì a Parigi, il 18 gennaio 1918, la Conferenza di Pace con la partecipazione di 27 Stati appartenenti al campo dei vincitori. Nel marzo del 1919 si formò un organo più ristretto, il cosiddetto “ Consiglio dei Quattro” composto dal presidente degli Stati Uniti, Wilson, dal capo del governo inglese Lloyd George, dal primo ministro francese Clemenceau e dal primo ministro italiano Orlando.

Dopo una furibonda e accanita lotta tra i componenti del “Consiglio dei Quattro” per la nuova spartizione del mondo e delle ricchezze tedesche e austriache, i “Quattro”, il 28 giugno del 1919, nel palazzo di Versailles, costrinsero i riluttanti governanti tedeschi, la firma di un iniquo Trattato, che prevedeva una somma globale (in conto riparazioni di guerra) di cento miliardi di marchi-oro ( il tasso di scambio era: 1 marco-oro= 1 bilione di marchi di carta), ed inoltre ,il disarmo generale e la cessione di tutte le colonie tedesche da ripartirsi tra la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti,ecc. eccc.. L’economista inglese John Maynard  Keynes che, nel 1920, partecipava ai lavori del Trattato per incarico del governo inglese, con preveggenza di venti anni, nel suo libro Le conseguenze economiche della pace,  pervenne alle conclusioni che con la pace di Versailles «l’Europa e il mondo intero stanno marciando verso la bancarotta».

Scrisse Lenin: «…il trattato di Versailles ha posto la Germania e numerosi altri Stati vinti in condizioni che rendono materialmente impossibile la loro esistenza economica, in uno stato di assoluta mancanza di diritti e di completa umiliazione…. Non soltanto i paesi coloniali e i paesi vinti sono caduti in uno stato di completa soggezione, ma anche all’interno di ogni paese vittorioso si sono acuite tutte le contraddizioni capitalistiche esistenti e se ne sono sviluppate altre ancora più acute». E, ancora, in uno scritto del 15 ottobre 1920, nel quale Lenin analizza la situazione mondiale dopo il 1918, afferma:« Si è creata una situazione in cui i sette decimi della popolazione mondiale si trovano in una condizione di asservimento. Questi schiavi, sparsi in tutto il mondo, sono esposti alle torture inflitte loro da un pugno di paesi: Inghilterra, Francia e Giappone. Ecco perché tutto questo assetto internazionale, tutto quest’ordine che poggia sul Trattato di Versailles, è seduto su un vulcano».

Con la fine della guerra l’unico paese che maggiormente se ne avvantaggiò fu quello degli Stati Uniti, i quali si trasformarono da paese carico di debiti, in un paese al quale tutti erano debitori. Tutte le altre potenze erano indebitate con gli Stati Uniti, compresa la Francia, nonostante fosse paese vincitore. La stessa fonte capitalistica, il Consiglio Economico superiore, il10 marzo 1920, calcolò che l’inflazione in Francia, rispetto al dollaro, era del 67%, in Inghilterra del 33%, in Germania del 96%.

L’inflazione, nella duplice faccia, come svalutazione della moneta e come aumento dei prezzi delle merci, nata col capitalismo, anche in questa occasione, si rivelò uno strumento utilissimo nelle mani della  borghesia monopolistica. Essa  consentì di abbassare al minimo il salario operaio, di espropriare una parte notevole della media borghesia, di ridurre le rendite e le pensioni e di appropriarsi dei risparmi dei lavoratori. Con l’inflazione i grandi capitalisti s’impossessarono della maggior parte della ricchezza nazionale. Solo gli Stati Uniti conservarono la stabilità valutaria, divenendo la più grande potenza finanziaria del mondo.

Con la creazione di tre piani di “aiuti” per l’Europa distrutta dalla guerra (che anticipa di venti anni il famigerato piano Marshall per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale), s’inaugura la strategia dei prestiti a paesi “amici”,in cambio della propria libertà e indipendenza politica. Essi furono: il piano Dawes, il piano Young, e il Patto Briand-Kellog. Tutti e tre concorrevano verso un unico obiettivo: fare della Germania un forte Stato industriale-militare al centro dell’Europa da opporre all’Unione Sovietica. Il primo piano fu approvato nella conferenza di Londra dell’agosto 1924, e, alla cui testa, come presidente, fu posto il senatore americano Charles Dawes, rappresentante del gruppo finanziario americano Morgan. La commissione elaborò un piano, camuffato come “aiuti” alla Germania, ma, in realtà, nell’interesse del capitale finanziario americano e della lotta contro la Repubblica di Weimar.

Questa politica di rapido incremento industriale della Germania, voluta dal piano Dawes, se da una parte apriva la strada all’accumulo di profitti della borghesia tedesca (tanto è vero che tutti i partiti borghesi, compreso il partito socialdemocratico tedesco, lo appoggiarono), dall’altro, essa doveva servire non solo a bloccare l’avanzata dei partiti che appoggiavano la Repubblica di Weimar, come in effetti successe nelle elezioni del maggio 1924, quando i partiti della sinistra risultarono sconfitti, ma anche, e soprattutto, ad indirizzare l’espansione economica tedesca verso l’Unione Sovietica sperando di trasformarla in un mercato di prodotti agricoli e di materie prime delle potenze imperialistiche.

Con il piano Young e il patto Kellog il controllo americano sull’economia europea – dice Cohen – si ingigantiva attraverso la creazione della Banca dei regolamenti internazionali presieduta per l’appunto da un americano. «Mostreremo – soggiunge Cohen – che questo tanto perfido quanto odioso proposito, tanto intelligente quanto rivoltante discende dall’intento di rovinare l’Europa e colonizzarla».

Se oggi, dopo circa un secolo, durante il quale si sono sviluppate altre due potenze economico- militari mondiali, la Russia e la Cina,  non si può non vedere una strategia analoga, da parte degli americani, al fine di mantenere il loro predominio sull’Europa, secondo la seguente catena di comando, più volte collaudata:  Wall Street domina sulla Banca Federale Usa, che a sua volta domina sul Fondo Monetario Internazionale, e quest’ultimo domina, sulla Banca Centrale Europea. L’abbiamo constatato ultimamente con gli “aiuti” della Bce alla Grecia, riducendola in uno stato di indicibile miseria; lo stiamo constatando noi e l’Europa intera attraverso i vari Pnrr in arrivo dalla Bce, in cambio dei quali svendiamo la nostra indipendenza politica, le nostre ricchezze, il nostro stato sociale, accollandoci, inoltre,  il grande fardello della guerra( che la grande maggioranza degli italiani, fedeli ai dettati della nostra Costituzione, non vogliono), e  dell’inflazione. Se a ciò aggiungiamo che l’Europa è priva di materie prime, allora  le nostre industrie saranno condannate al collasso, gli operai verranno licenziati a milioni e la disoccupazione raggiungerà percentuali altissime mai prima d’ora osservati.

L’Europa, ancora una volta, «è seduta su un vulcano».

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