A GAZA È GENOCIDIO di Novordo
Secondo l’ONU, il genocidio è definito come un crimine internazionale che include qualsiasi atto commesso con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.
Nel novembre 1932 si tennero le ottave elezioni parlamentari della Repubblica di Weimar, che rappresentarono un momento cruciale nella storia della Germania, dell’Europa e del Mondo.
Il Partito Nazionalsocialista ottenne il 33,1% dei voti e 196 seggi, perdendo 34 seggi rispetto alle elezioni precedenti; il Partito Socialdemocratico di Germania (SPD) raccolse il 20,4% dei voti con 121 seggi, mentre il Partito Comunista di Germania (KPD) aumentò la sua rappresentanza a 100 seggi con il 16,9% dei voti. Nonostante il calo, il Partito Nazionalsocialista rimase il partito con il maggior numero di seggi nel Reichstag.
L’assenza di una maggioranza chiara rese difficile la formazione di un governo stabile, perciò, il 3 dicembre 1932, Franz von Papen, cancelliere uscente, si dimise e fu sostituito dal generale Kurt von Schleicher. Tuttavia, anche Schleicher non riuscì a consolidare una maggioranza parlamentare, aprendo la strada alla nomina di Adolf Hitler a cancelliere. Il 30 gennaio 1933 Hitler prestò giuramento come cancelliere nel Palazzo del Reichstag.
Il 27 febbraio, un mese dopo, quello stesso palazzo venne dato alle fiamme e, dell’incendio, vennero accusati i comunisti ed in particolare il dirigente comunista bulgaro Georgi Dimitrov.
Il giorno dopo, il 28 febbraio, venne emanato un decreto, rubricato “decreto dell’incendio del Reichstag”, con cui vennero sospesi quasi tutti i diritti civili, sanciti dalla Costituzione della Repubblica di Weimar del 1919, e che diede ad Hitler l’autorità di arrestare tutti i capi del partito comunista, a pochi giorni dalle elezioni parlamentari tedesche del 5 marzo del 1933. Elezioni in cui il Partito Nazionalsocialista ottenne il 43,9% dei voti e 288 seggi su 647.
Il 24 marzo Hitler, con l’appoggio del Partito Popolare Nazionale Tedesco e dopo aver minacciato fisicamente esponenti del Partito di Centro Tedesco, affinché con il loro appoggio ottenesse i due terzi necessari per raggiungere la maggioranza in parlamento, riuscì ad approvare il “decreto dei pieni poteri”, provvedimento che trasferì il potere legislativo all’Esecutivo e che sancì, di fatto, l’inizio della dittatura nazista in Germania.
Qualche giorno prima, il 22 marzo a Dachau, fu aperto da Heinrich Himmler il primo campo di concentramento in cui furono detenuti comunisti, socialdemocratici e altri ritenuti nemici politici tedeschi, arrestati dopo il decreto del 28 febbraio. Questo campo rimase operativo fino alla liberazione nel 1945.
Tra il 1933 e il 1945, la Germania nazista e i suoi alleati istituirono oltre 44.000 campi di concentramento e altre strutture di detenzione, utilizzate per incarcerare, isolare e sfruttare ebrei, oppositori politici e altri gruppi considerati “indesiderabili”.
I campi nazisti si distinguevano in diverse categorie:
- Campi di concentramento: destinati inizialmente a prigionieri politici, successivamente ospitarono anche ebrei, rom, omosessuali e altri gruppi perseguitati.
- Campi di lavoro forzato: dove i detenuti erano costretti a lavorare in condizioni disumane per l’economia bellica tedesca.
- Campi di sterminio: progettati per l’eliminazione sistematica, principalmente degli ebrei, attraverso l’uso di camere a gas e altre metodologie di uccisione di massa.
Con l’espansione territoriale della Germania nazista, il sistema dei campi si estese in tutta l’Europa occupata, adattandosi alle esigenze del regime, dalla repressione politica allo sterminio di massa. Milioni di persone furono deportate e assassinate nei campi nazisti. Le condizioni di vita erano terribili: sovraffollamento, malnutrizione, lavori estenuanti e violenze sistematiche erano all’ordine del giorno. Il totale di vittime del genocidio nazista è stimabile tra i 15 e i 17 milioni, la maggior parte delle quali, circa 6 milioni, furono ebrei, oltre a rom, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, omosessuali e altri gruppi sociali perseguitati e barbaramente assassinati.
Nel 1948, qualche anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sulle ceneri dell’Olocausto, nacque la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, che rappresentò una conquista storica dell’umanità: per la prima volta si affermò che sterminare un popolo non è solo un crimine morale, ma un crimine internazionale, che supera la sovranità degli Stati. Da allora, la comunità internazionale ha il dovere giuridico di prevenire, punire e non tollerare il genocidio. Non si tratta solo di “condannare”, ma di agire.
La forza della Convenzione sta nel suo impianto giuridico, ma anche nella sua dimensione politica: essa obbliga gli Stati e le istituzioni internazionali a prendere posizione.
Oggi, a Gaza, questa posizione è necessaria e urgente.
Secondo la Convenzione, il genocidio non è definito solo dalla quantità dei morti, ma dall’intenzione di distruggere — in tutto o in parte — un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Gli atti che compongono il genocidio includono:
- Uccisioni sistematiche di civili (Art. II, lett. a);
- Infliggere condizioni di vita intollerabili (blocco umanitario, fame, mancanza di cure) (lett. c);
- Lesioni fisiche o mentali (traumi collettivi, bombardamenti su ospedali, scuole, rifugi) (lett. b);
- Impedimento di nascite (distruzione di infrastrutture sanitarie, blocco su farmaci e acqua) (lett. d);
- Trasferimento forzato di bambini (lett. e).
Tutte queste condizioni sono documentate oggi nella Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano sta conducendo operazioni che vanno ben oltre l’autodifesa, colpendo deliberatamente infrastrutture civili, operatori umanitari, uomini donne e bambini. Dichiarazioni pubbliche di membri del governo nazifascista israeliano invocano la distruzione della popolazione palestinese, che configura l’intento genocidario previsto dall’art. II della Convenzione.
Esponenti chiave del governo hanno apertamente incitato al genocidio. Ecco le più gravi:
Yoav Gallant (Ministro della Difesa):
“Nessuna elettricità, nessun cibo, nessun carburante… Stiamo combattendo animali umani.”
Bezalel Smotrich (Ministro delle Finanze):
“Cancellerai la memoria di Amalek da sotto il cielo.” (citazione biblica usata per invocare lo sterminio totale)
Amichai Eliyahu (Ministro del Patrimonio):
“La bomba atomica su Gaza è una possibilità.”
Avi Dichter (Ministro dell’Agricoltura):
“Questa è la Nakba di Gaza.”
Israel Katz (Ministro dell’Energia):
“Non una goccia d’acqua a Gaza finché non se ne andranno.”
Benjamin Netanyahu (Primo Ministro):
“Ricordate cosa fece Amalek.” (riferimento costante alla distruzione totale del nemico biblico)
Nissim Vaturi (Membro Knesset, Likud):
“Bruciare Gaza. Sì, bruciare. Perché dovremmo vergognarci?”
Queste non sono uscite isolate. Sono l’espressione di una linea politica di un governo che ha fatto della disumanizzazione dei palestinesi la propria dottrina.
L’art. III della Convenzione punisce non solo il genocidio, ma anche l’incitamento, la cospirazione, il tentativo e la complicità. Qui entrano in causa i governi occidentali che forniscono armi e appoggio diplomatico incondizionato a Israele, i media mainstream, che oscurano il massacro, o lo giustificano, e le istituzioni europee che criminalizzano la solidarietà con il popolo palestinese. Questi attori potrebbero, de iure, essere chiamati a rispondere di complicità in genocidio.
Dal 7 ottobre 2023, il popolo palestinese nella Striscia di Gaza è oggetto di una campagna militare e politica che, per entità, modalità e obiettivi dichiarati, corrisponde esattamente alla definizione giuridica di genocidio fornita dalla Convenzione ONU del 1948. Quasi 60.000 morti, secondo The Lancet, in larghissima parte civili, donne, bambini, oltre 115 mila i feriti e più di 2 milioni gli sfollati. Infrastrutture distrutte, fame e sete indotte, cure negate e popolazione forzata a spostarsi in condizioni inumane.
Tutto questo non è accaduto “per errore” o “per risposta agli attacchi di Hamas”. È frutto di un programma dichiarato, di una volontà ideologica e politica nazifascista apertamente espressa dai vertici dello Stato sionista di Israele.
Oggi, nella Palestina martoriata, e in particolare nella striscia di Gaza, si sta consumando un genocidio che i potenti del mondo osservano in silenzio o, peggio, lo giustificano con l’ipocrito mantra del “diritto di Israele a difendersi”. Da venti mesi, uomini, donne e bambini vengono sterminati sotto le bombe, privati di acqua, cibo e cure mediche. Un’intera popolazione viene cancellata metodicamente, mentre i governi occidentali – complici e corresponsabili – restano immobili, quando non apertamente solidali con il carnefice.
Assoluta e ferma è la condanna della condotta criminale del governo nazifascista di Netanyahu e l’indegno servilismo dei potenti dell’Occidente, che tradendo ogni principio di giustizia e umanità, hanno scelto di stare dalla parte dell’oppressore. Ma i popoli del mondo, da ogni latitudine, stanno con Gaza e con la Palestina. Lo gridano le piazze, lo scrivono i muri, lo piangono i cuori delle madri, dei padri, di sorelle e fratelli che non vogliono più guerre né occupazioni.
La Storia ha già emesso il suo verdetto: i complici del genocidio non saranno dimenticati. Nessuna propaganda potrà cancellare il sangue versato, nessuna menzogna potrà lavare l’infamia. A noi il dovere di denunciare, di resistere, di lottare. Fino a quando la Palestina sarà libera, fino a quando giustizia sarà fatta.
Palestina vincerà!