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GIACOMO MATTEOTTI ANTIFASCISTA ANTE LITTETRAM di Maurizio Nocera

«Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!» Giacomo Matteotti, Discorso alla Camera dei deputati (30 maggio 1924)

Per il Convegno di Studi Il delitto Matteotti e le ricadute politico-culturali nella periferia italiana. Nascita e consolidamento di una dittatura in Terra d’Otranto (Lecce, Biblioteca Bernardini, ex Convitto Palmieri, 11 ottobre 2024 organizzato da APSEC-LECCE)  

Del delitto di Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, 22 maggio 1885 – Roma, 10 giugno 1924), soprannominato “Tempesta” per il suo carattere battagliero, parlamentare del collegio di Ferrara dal 1919 al 1924.

Forse a qualche storico è sfuggito quanto il periodico di Antonio Gramsci, «l’Ordine Nuovo», scrisse a proposito dell’assassinio del segretario del Partito Socialista Unitario: «La disgregazione sociale e politica del regime fascista ha avuto la sua prima manifestazione di massa nelle elezioni del 6 aprile [1914] Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza nella zona industriale italiana, cioè là dove risiede la forza economica e politica che domina la nazione e lo Stato. Le elezioni del 6 aprile, avendo mostrato quanto fosse solo apparente la stabilità del regime, rincuorarono le masse, determinando l’inizio di quella ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all’assassinio dell’on. Matteotti e che ancora oggi caratterizza la situazione. Le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni un’importanza politica enorme; l’agitazione da esse condotta nei giornali e nel parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista operava potentemente a disciogliere tutti gli organismi dello Stato controllati e dominati dal fascismo, si ripercuoteva nel seno dello stesso Partito Nazional Fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di qui la inaudita campagna di minaccio contro le opposizioni e l’assassinio del deputato unitario. […] Il delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori: egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alle storie nell’ordine delle diverse maschere provinciali italiane più che nell’ordine dei Cromwel, dei Bolivar, dei Garibaldi. L’ondata popolare antifascista provocata dal delitto Matteotti trovò una forma politica nella secessione dall’aula parlamentare dei partiti di opposizione. L’assemblea delle opposizioni divenne di fatto un centro politico nazionale intorno al quale si organizzò la maggioranza del paese: la crisi scoppiata nel campo sentimentale e morale, acquistò così uno spiccato carattere istituzionale; uno Stato fu creato nello Stato, un governo antifascista contro il governo fascista.» (v. «l’Ordine Nuovo». Rassegna settimanale di cultura socialista, a. I, n. 5, 1 settembre 1924, prima pagina. Reprint Teti Editore, Milano, 1976).

Ancora, nel numero successivo de «l’Ordine Nuovo», diretto da Antonio Gramsci, un altro passaggio dice: «La politica del fascismo e della borghesia reazionaria si è inceppata, – il giorno in cui l’opinione pubblica è unanimemente insorta per il delitto Matteotti, e Mussolini è stato travolto da questa insurrezione fine a compiere alcune mosse che dovevano avere ed avranno conseguenze incalcolabili, – in un ostacolo irremovibile. [….] L’uccisione di Matteotti, dal punto di vista della difesa del regime, fu un profondissimo errore. L’affare del processo, che nessuno riesce a liquidare in modo pulito, è tale una ferita nel fianco del regime quale nessun movimento rivoluzionario, nel giugno 1924, era in grado di aprire» (v. «l’Ordine Nuovo». Rassegna settimanale di cultura socialista, a. I, n. 7, 15 novembre 1924, p. 50. Reprint Teti Editore, Milano, 1976)

Non c’è più bisogno di ribadirlo: Benito Mussolini fu il mandante e Dumini più altri quattro sicari furono gli esecutori.

Molti sono i commenti di autorevoli storici ai discorsi di Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati, soprattutto quelli che compromisero la sua vita. Fondamentale il suo discorso del 30 maggio 1924 che, per fortuna, noi possiamo ancora leggere grazie a un resoconto stenografico, ripreso della rivista di cultura «Tempo Presente» (numero speciale 400-402, aprile-giugno 2014), pubblicata in occasione del 90° anniversario della morte del deputato socialista.

Quali sono i passaggi di questo discorso alla Camera che urtarono in primo luogo Mussolini?

Matteotti, a proposito della convalida dei parlamentari eletti nei collegi delle elezioni del 6 aprile 1924, espresse la volontà di conoscere la lista di quei nomi. Chiaramente egli aveva percepito la frode e i brogli che i fascisti avevano fatto. Tant’è che molti di loro, ad iniziare dal fascistaccio Farinacci, cominciarono a inveire rumorosamente. Matteotti non si fece intimorire, per cui continuò il suo discorso contestando la lista dei parlamentari fascisti eletti dicendo che: «cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! Potrebbe darsi che i nomi letti dal Presidente siano di quei capilista che resterebbero eletti anche se, invece del premio di maggioranza, si applicasse la proporzionale pura in ogni circoscrizione. Ma poiché nessuno ha udito i nomi, e non è stata premessa nessuna affermazione generica di tale specie, probabilmente tali tutti non sono, e quindi contestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione della maggioranza».

Il presidente dell’Assemblea gli fece capire che in aula non c’era nessuno che condividesse i suoi dubbi; al che, il deputato socialista affermò che era egli stesso a contestare quella lista di nomi dichiarandola non valida e che le elezioni erano state volute dal governo Mussolini solo per dimostrare la sua forza parlamentare. I fascisti in aula contestano rumorosamente Matteotti, tant’è che egli li apostrofò dicendo che: «Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza del mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà [… Matteotti addebita la mancanza di libertà dovuta alla presenza nei seggi della milizia fascista armata]».

Il fascistaccio Farinacci lo interruppe dicendo: «Potevate fare la rivoluzione!».

A questo punto Matteotti denunciò apertamente l’esistenza della milizia fascista armata, che era sotto il comando diretto ed esclusivo di Mussolini e che aveva la funzione di sostenere il Capo del governo. Ancora un’altra interruzione con la quale i fascisti contestarono a Matteotti l’esistenza delle Guardie Rosse della Rivoluzione socialista russa.

Ancora una volta il deputato socialista non si fece intimorire. Continuò il suo discorso: «Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito [fascista], la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse».

Intervenne ancora il fascistaccio Farinacci, affermando: «Erano i balilla!». Cioè, dei bambini.

«È vero», rispose Matteotti: «In molti luoghi hanno votato anche i balilla [cioè i bambini]». Contestando che le elezioni erano state condizionate dalle direttive del governo, il quale aveva permesso solo a pochi elettori di esercitare il loro diritto di voto, per di più controllato dalla milizia».

Dopo una serie di improperi rivoltigli contro, Matteotti riprese a parlare dicendo:«La presentazione delle liste deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate “provocazioni”, sono state impedite con violenza».

Matteotti denunciò i brogli in Sardegna e in altri collegi nazionali, ed ecco la prima seria minaccia delle intenzioni dei fascisti. È sempre lo stesso fascistaccio Farinacci che la esplicita dicendo che «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto!». Vale a dire uccidere il deputato socialista.

Il discorso di Matteotti continuò interrotto dalle “proteste” dei fascisti che affermavano l’inesistenza di brogli. Quando invece, non solo dalle parole del deputato socialista unitario, ma anche da altri deputati (Emilio Lussu) venne confermata la verità delle parole di Matteotti. Il suo discorso e le interruzioni dei fascisti continuarono senza soste. Da una parte il deputato socialista denunciava le loro intimidazioni e violenze nei confronti perfino dei deputati dell’opposizione (denuncia l’uccisione del candidato Berta) e dall’altra i fascisti che le negavano.

A leggere quel resoconto stenografico c’è da farsi venire il voltastomaco. Oggi sappiamo che le elezioni del 6 aprile 1924 furono vinte dai fascisti con dei brogli e sappiamo pure delle violenze subite dalle opposizioni e dal popolo italiano. Per avere detto la verità e per avere infastidito Mussolini, proprio a causa di quel discorso nell’aula parlamentare, ma anche per avere già fatto pratica antifascista sin da subito dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922), Giacomo Matteotti di fatto fu condannato a morte.

Le sue ultime parole in aula furono: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l’oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno. Per queste ragioni noi domandiamo l’annullamento in blocco della elezione di maggioranza. […] Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni».

Il suo rivoluzionario e antifascista discorso alla Camera, Giacomo Matteotti lo tenne il 30 maggio 1924. Il 10 giugno 1924, cinque sicari, guidati da Amerigo Dumini lo sequestrarono e lo uccisero. Oggi sappiamo che il mandante fu lui, Benito Mussolini, il quale, da quel discorso capì di trovarsi davanti ad un antifascista che non avrebbe mollato la presa, che avrebbe contestato il fascismo sempre. Per questo occorreva fargli tacere la bocca. Altra bocca che Mussolini farà tacere sarà quella di Antonio Gramsci, arrestato e rinchiuso in prigione nel 1926. Morirà nel 1937 dopo 11 anni di duro carcere che stroncherà il suo fisico già malridotto.

Dell’assassinio di Giacomo Matteotti, uno degli studi più seri è quello degli storici pugliesi Mario Gianfrate e Nicola Colonna che, nel loro libro, Delitto Matteotti. Il Mandante (Suma Editore, Sammichele di Bari, 2012), ricostruiscono, passo dopo passo, tutto il percorso dell’omicidio tant’è che, concludendo il suo saggio, Gianfrate scrive: «Se sussistono ancora dubbi, sul mandante, affidiamo le conclusioni a Cesare Rossi che, nel nuovo e ultimo processo Matteotti, ribadisce la sua testimonianza che dirama ogni nebbia. Ascoltiamo: “Da ventitré anni – scandisce l’ex capo dell’Ufficio stampa del duce – io ripeto quel che allora dissi a viso aperto a Filippelli, De Bono, Marinelli e Finzi, e cioè che ritenevo Mussolini responsabile in quanto era lui aveva creato il clima di violenza, era lui l’istigatore delle aggressioni a danno degli avversari del fascismo, era lui che aveva voluto la costituzione di una squadra agli ordini di Marinelli”. Il mandante ha finalmente un nome: Benito Mussolini» (v. Gianfrate-Colonna, Delitto Matteotti. Il Mandante, p. 39).

Che il regime fascista sia stato violento e che abbia compiuto efferatezze inaudite, Nicola Colonna lo sostiene nel suo saggio Matteotti e la tradizione del socialismo riformista italiano, quando, nel paragrafo Il fascismo come “banda armata” della borghesia per la conquista dello Stato, scrive che: «Salvemini amava riconoscere di dovere molto a Matteotti per i propri scritti sul fascismo, non soltanto per i dati, ma l’impostazione e il metodo. Ed in effetti, a partire dall’inizio del 1921, il fascismo diventa, per Matteotti, il problema principale./ Il 31 gennaio 1921, egli pronuncia alla Camera il suo primo importante discorso contro il fascismo. In esso, Matteotti denuncia e documenta i fatti, ma ammette che essi possano essere stati deformati dalle passioni di parte, e che comunque in ogni partito possano esserci dei facinorosi e dei violenti. Ma il problema che egli pone va al di là dei singoli episodi ed investe, per così dire, la qualità nuova della violenza fascista, che qui viene, per la prima volta e con straordinaria lucidità, individuata nella sua duplice natura di violenza organizzata e di classe» (v. Gianfrate-Colonna, Delitto Matteotti. Il Mandante, p. 103).

Gaetano Salvemini, nei suoi Scritti sul fascismo, aveva dedicato un capitolo a il Delitto Matteotti (pp. 615-633). In esso egli fa l’analisi di quello che è stato il fascismo, delle violenze, delle uccisioni e, a proposito del discorso di Matteotti alla Camera, scrive: «Il 30 maggio 1924, il deputato socialista unitario Giacomo Matteotti, denunciò la violenza e i brogli messi in opera durante le ultime elezioni. Egli portò numerosi esempi di minacce, di atti di violenza e della generale manipolazione delle elezioni e dei risultati. […] La Camera era in preda ad una tensione drammatica. Il discorso di Matteotti veniva interrotto quasi ad ogni frase, da grida, smentite, insulti e minacce della maggioranza fascista ma, rimanendo calmo e impassibile il coraggioso deputato continuò sino alla fine la sua denuncia delle violenze fasciste. Poi, volgendosi verso i colleghi, disse con lo stesso tono di voce calmo e fermo: “Ed ora preparatevi a farmi l’elogio funebre”. Matteotti sapeva bene che avrebbe pagato con la vita il suo atto di coraggio» (v. G. Salvemini, Scritti sul fascismo, vol. I, Feltrinelli, Milano, 1961, pp. 625-626).

Esiste una commovente e autocritica lettera di Gaetano Salvemini a Vetta Titta, moglie di Matteotti. Questa: «Io attraversai, fra il 1921 e il 1924, un periodo di stanchezza fisica e di depressione morale. Detestavo i fascisti ma non avevo fiducia negli antifascisti./ Me ne stavo tra i miei libri, risoluto a non entrare più nella politica attiva. Ma quando Lui [Giacomo Matteotti] fu ucciso, io mi sentii in parte colpevole della sua morte. Lui aveva fatto il suo dovere: e per questo era stato ucciso./ Io non avevo fatto il mio dovere: e per questo mi avevano lasciato stare./ Se tutti avessimo fatto il nostro dovere, l’Italia non sarebbe stata calpestata, disonorata da una banda di assassini. Allora presi la mia decisione. Dovevo ritornare ad occupare il mio posto in battaglia. Ed ho fatto il possibile per attenuare in me il rimorso di non aver sempre fatto il mio dovere».

Perché dico che “Giacomo Matteotti era antifascista ante litteram”.

Matteotti aveva pubblicato, nei primi mesi del 1924, il libro Un anno di dominazione fascista (reprint Bur, Milano 2024, su licenza di Mondadori libri). Nel mezzo di quello stesso anno lo stava ripubblicando con note e aggiornamenti, quando fu assassinato. Si tratta, è scritto nella Nota alla ristampa di una «rapida antologia di frasi pronunciate da Mussolini o pubblicate sulla stampa fascista e l’impressionante elenco delle intimidazioni e delle violenze che, tra il novembre 1922 e il dicembre 1923, colpiscono in tutta Italia coloro che tentano di opporsi al nascente regime fascista. È la cronaca minuziosa di un potere che si trasforma in dittatura (e lo diventerà a tutti gli effetti proprio col delitto Matteotti)».

Ovviamente io qui non riprenderò tutte le intimidazioni e le violenze di quel lungo elenco, ma mi limito solo a quelle che riguardano la Puglia e il Salento. In quell’elenco c’è la prova provata dell’antifascismo ante litteram di Matteotti. Egli, infatti, si accorse subito, appena dopo la marcia dei fascisti su Roma (28 ottobre 1922) dell’instaurazione del regime dittatoriale di Benito Mussolini. Già a partire dall’11 novembre 1922, comincia ad annotare le frasi pronunciate del duce e gli articoli della stampa fascista, che annunciano una nuova fase della storia politica italiana. Mentre dal novembre dello stesso anno, annota le intimidazioni e le violenze paese per paese. Ovviamente Matteotti può annotare tale elenco riprendendolo dai giornali locali e nazionali.

Come detto, mi limito ad elencare le annotazioni pugliesi e salentine.

Novembre 1922: «Bari – I fascisti invadono la sede del comitato pro-monumento a Giuseppe Di Vagno, deputato socialista assassinato lo scorso anno, imponendone lo scioglimento. Devastano la farmacia di Vincenzo Panaro e impongono la chiusura per dieci giorni delle botteghe di Pasquale Chiarappa, Giuseppe Gigante, Livio Gigante.// Ginosa (Taranto) – Essendosi l’amministrazione comunale rifiutata di dare le dimissioni, ne è avvenuto un conflitto tra fascisti e nazionalisti, con colpi di fucile. Si hanno dei morti.// Ginosa (Taranto) – L’operaio Petrera Giovanni viene barbaramente percosso dai fascisti e alleggerito del portafoglio.// Dicembre 1922San Pietro Vernotico (Lecce) – Nazionalisti bandiscono dal paese il deputato Vacirca e lo costringono a salire nel bagagliaio del treno merci.// Francavilla FontanaCeglie Messapica (Lecce. La tre province Lecce, Brindisi, Taranto non sono state ancora divise, cosa che avverrà nel 1927) – Per rappresaglia 50 fascisti invadono il Comune, tagliandole comunicazioni telegrafiche e telefoniche, sparano migliaia di colpi, requisiscono armi e munizioni dell’ufficio di polizia urbana e appiccano fuoco al mobilio.// Trani – Fascisti e nazionalisti si sparano colpi di rivoltella: cinque feriti.// Galatina (Lecce) – Fascisti incendiano la Camera del lavoro.// Acquaviva delle Fonti – Incendio delle sedi del circolo socialista, della Lega combattenti e del circolo operaio.// Gennaio 1923Trani – I fascisti, accusati dell’assassinio del deputato Di Vagno, sono messi in libertà.// Margherita di Savoia (Foggia); Carmiano (Lecce); Andria (Bari) – Conflitti, fucilate e rivoltellate tra fascisti e nazionalisti. Molti feriti tra i quali il cav. Calcagnili e Antonio Dibari».// Lucera (Foggia) – I fascisti, imputati dell’eccidio di Cerignola (9 morti e 60 feriti), sono assolti.// Lecce – Squadre fasciste occupano il Municipio e costringono l’amministrazione comunale a dimettersi.// Terlizzi (Bari) – In un conflitto tra nazionalisti e fascisti rimane uccisa una persona.// Febbraio 1923Martina Franca (Lecce, oggi Taranto) – Conflitto tra nazionalisti e fascisti. Un morto e feriti gravi.// Martina Franca (Lecce, oggi Taranto) – Continuano le rappresaglie tra fascisti e nazionalisti. Parecchi feriti gravi.// Marzo 1923: Nessuna annotazione da parte di Matteotti.// Aprile 1923Cisternino (Bari) – I fascisti inscenano una dimostrazione contro l’amministrazione comunale composta di combattenti. Il sindaco, avvocato De Vito, è ferito gravemente. Sono ferite anche altre sette persone.// Maggio 1923Bitonto (Bari) – Dai militi fascisti è ucciso il leghista Antonio Bonassia e ferito gravemente un altro lavoratore.// Bisceglie (Bari) – Per rappresaglia i fascisti incendiano la sezione repubblicana e la Lega muratori.// Bitonto (Bari) – Il socialista Bonavia Gaetano è ucciso a colpi di rivoltella dai fascisti. Nella stessa circostanza è ferito gravemente anche l’operaio Francesco Giorgi.// Francavilla Fontana (Brindisi) – Il popolare prof. Concetto Parisi è aggredito e percosso mentre rientra nella propria abitazione. Il deputato Lombardo-Pellegrino è arrestato nella propria abitazione.// Lucera (Foggia) – I fascisti bastonano i portatori di garofani rossi e di fazzoletti rossi.// Mesagne (Brindisi) – Conflitti coi fascisti. Rimangono feriti parecchi lavoratori socialisti.// Giugno 1923Foggia – L’avvocato Euclide Trematore è aggredito e percosso dai fascisti.// Galatone (Lecce) – È incendiata la sede della sezione dei combattenti.// Luglio 1923Ostuni (Brindisi) – L’amministrazione popolare è costretta a dimettersi per imposizioni fasciste.// Agosto 1923Corato (Bari) – I fascisti, recatisi in casa di un certo Marzicci Michele per bastonarlo, non lo trovano, In sua vece percuotono e feriscono il vecchio padre in presenza della moglie e di quattro figli minorenni.// Squinzano (Lecce) – L’amministrazione comunale è costretta a dimettersi per imposizione del Fascio.// Settembre 1923Tricase (Lecce) – Il ferroviere Roberto Caputo, presidente della sezione combattenti, è ucciso al Caffè “Tempio” con quattro colpi di rivoltella da un fascista.// Scorrano (Lecce) – Dai fascisti sono gravemente feriti ex combattenti, uno di questi, Angelo Giannotta, è moribondo.// Ottobre 1923Foggia – Il deputato Maitilasso è espulso dai fascisti dal tribunale mentre assiste all’inaugurazione della nuova sede.// Leverano (Bari, ma Lecce) – Una trentina di fascisti invade il palazzo comunale, imponendole dimissioni del sindaco e di tutti i consiglieri.// Novembre 1923: [Matteotti non rivela alcun altro evento]» (v. Giacomo Matteotti, Un anno di dominazione fascista, op. cit., pp. 39-129). Tuttavia, chiude il suo elenco con questa annotazione: «Notizie più complete ed esatte su altri fatti e su questi stessi saranno bene accette alla redazione./ I fatti sopra elencati non rappresentano che una parte e un esempio delle manifestazioni dell’illegalismo fascista, continuate nel primo anno del Governo fascista. L’illegalismo è ormai piuttosto un fatto permanente che specialmente in alcune zone d’Italia si è sostituito a qualsiasi legge e a qualsiasi garanzia e organo della legge, imponendosi ai cittadini con la violenza o ormai solo con la minaccia./ Quelli che in dettaglio e specialmente nei comuni rurali, può essere avvenuto, con la aperta complicità delle autorità governative, per sottomettere i cittadini che legittimamente resistevano, è dato con chiaro esempio dalle cronache di Molinella, piccolo Comune sotto i 15 mila abitanti, nella provincia di Bologna» (v. Op. cit., p. 129).

Un’altra parte interessante del libro si trova nell’appendice, dove Matteotti annota lo scempio delle autonomie locali durante solo il primo anno dell’instaurazione del regime, 28 ottobre 1922 – 31 ottobre 1923. Le motivazioni dello scioglimento sono: «Mentre la legge consente lo scioglimento dei Consigli solo per gravi motivi di ordine pubblico, e per violazioni di legge, il governo fascista scioglie i Consigli semplicemente perché non sono fascisti o non graditi ai fascisti locali. E l’ordine pubblico viene tutelato non con la punizione di coloro che, armata mano, assalgono o minacciano i Municipi, ma cacciando i legittimi amministratori che resistono» (v. Matteotti, Op. cit., p. 243). Per dare un esempio delle motivazioni con le quali i fascisti sciolgono i Consigli comunali, riprendo quello di Ginosa (Decreto 13 febbraio 1923): «[Scioglimento] per le avvenute dimissioni del sindaco e della Giunta e trasmesse al prefetto avvertendo che avrebbero immediatamente seguito quelle del Consiglio… Il giorno seguente il Municipio veniva occupato dagli elementi appartenenti al partito [fascista] contrario all’amministrazione» (Matteotti, Op. cit., p. 244).

Anche in questo caso, davanti alle centinaia di Amministrazioni comunali sciolte in tutta Italia, mi limito a riprendere solo quelle pugliesi e salentine: «Gallipoli (Lecce), la seconda Amministrazione comunale in tutta Italia ad essere sciolta; Corato (Bari); San Michele (Bari); Parabita (Lecce); Noci (Bari); Gravina (Bari); Ginosa (Lecce, ma Taranto. Le province Lecce, Brindisi, Tarato non erano state ancora divise. Lo saranno nel 1927); Martina Franca (Lecce, c. s.); Acquaviva delle Fonti (Bari); Troia (Foggia); LecceManfredonia (Foggia); Carmiano (Lecce); Deliceto (Foggia); Polignano a Mare (Bari); Margherita di Savoia (Foggia); San Nicandro Garganico (Foggia); Brindisi (Lecce, c. s.); Scorrano (Lecce); Oria (Lecce, c. s.); Surbo (Lecce); Ruvo di Puglia (Bari); Calimera (Lecce); Trani (Bari); BariMontrone (Bari); Lucera (Foggia); Vernole (Lecce). Tra i Consigli provinciali sciolti c’è quello di Foggia dell’8 gennaio 1923» (v. Matteotti, Op. cit., pp. 238-242).

Lo storico Mario Gianfrate ha poi pubblicato un altro importante libro – Le elezioni politiche del 1924 e i riflessi del delitto Matteotti in Puglia (Suma editore, Sammichele di Bari, 2014, pp. 155), nel quale egli descrive Il clima di brogli e di violenza nel quale si svolgono le elezioni del 6 aprile 1924. Ed anche in questo caso, Gianfrate riempie un lungo elenco di intimidazioni, minacce, violenze, uccisioni fasciste seguite all’uccisione del deputato socialista unitario. Mi limiterò a riprendere solo alcuni esempi relativi all’antica Terra d’Otranto. Scrive: «A Copertino, lo studente universitario socialista Giuseppe Calasso è “avvertito” dal maresciallo dei carabinieri a desistere dal raccogliere sottoscrizioni in favore dell’”Avanti” e a disinteressarsi delle elezioni [del 6 aprile 1924], pena l’arresto.// La celebrazione del 1° Maggio si riesce a tenere a Lecce. Qui, alle 9, Piazza S. Oronzo è stracolma di lavoratoti di tutte le categorie, di studenti del Liceo scientifico e dell’Istituto tecnico, e di numerosissime tabacchine provenienti anche dalla provincia. È una prova di forza con la polizia che non riesce a far sgombrare la piazza; la giornata si concluderà con l’arresto di diversi socialisti, trasferiti nel carcere di S. Francesco a opera del brigadiere Vincenzo Del Mase, capo della squadra politica.// [Alla notizia dell’uccisione di Matteotti] i primi lievi incidenti si verificano a Lecce la sera del 13 giugno, in piazza S. Oronzo, tra fascisti, arditi e cittadini; l’intervento dell’Arma riesce a sedare gli animi, anche se si verifica lo scoppio di una bomba carta e l’arresto di un giovane per “grida sovversive”. Si registra anche un ferito, il rag. Trentino. Gli studenti delle scuole medie chiedono ai capi di Istituto la sospensione delle lezioni in segno di sdegno e di cordoglio, ma viene loro negata. L’Associazione Democratica, invece, pubblica un manifesto di protesta per il barbaro assassinio di Matteotti.// Altri incidenti, intanto, si verificano a Galatina, in piazza San Pietro: mentre è in procinto di uscire la processione del “Corpus Domini”, lo squadrista Salvatore Duma strappa a un giovane socialista il garofano rosso che ha all’occhiello; ciò scatena le rimostranze del giovane, a cui si affiancano altri socialisti presenti nella piazza. L’intervento della forza pubblica impedisce che la situazione degeneri ma, quando sembra che tutto sia finito, si improvvisa una dimostrazione al canto di Bandiera Rossa, subito sciolta dai carabinieri. A placare gli animi interviene l’avv. Mauro [Carlo] che, applaudito dalla folla, riesce nel suo intento. Un telegramma viene inviato a Filippo Turati. Il giorno seguente, però, le forze dell’ordine procedono all’arresto di quarantacinque “sovversivi” che, su dei camion, vengono trasportati nel carcere di Lecce.// Anche i Mutilati di Guerra di Lecce, riuniti in assemblea generale, iniziano la riunione con cinque minuti di silenzio, “per dignitosa commemorazione dell’on. Matteotti”. Il Presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso della stessa città [Lecce], unendosi al cordoglio per il barbaro assassinio del deputato socialista, invia, a nome dei soci, un messaggio di solidarietà alla vedova di Matteotti che risponde con una lettera del 26.7.1924: “Ringrazio il Presidente della Società Operaia di M. S. che nel commemorare il mio caro perduto, volle portare all’offesa che umilia l’Italia, al dolore che strazia la nostra casa, la sua parola di lenimento per noi, di esaltazione alla vittima, di solidarietà alla classe operaia che saprà lentamente e degnamente conquistare il suo domani senza delitti e senza terrori. Velia Matteotti.// A Seclì i fascisti vengono assaliti da ignoti di Galatone; uno di essi, Ettore Epifani, viene colpito da una pugnalata al cuore. L’arrivo dei militi della M.V.S:N: fa sì che ad altri fascisti non tocchi la medesima sorte.// Il 20 [luglio], a Lecce, mentre si svolgono i festeggiamenti in onore della Madonna del Carmine, al largo Valeri, alcuni fascisti si scontrano con un gruppo di socialisti riportando la peggio. Giorni dopo, la spedizione vendicativa: saputo che nell’abitazione di tale Desicò, al rione Scalze, sono riuniti alcuni socialisti, una sessantina di squadristi assaltano la casa; il sopraggiungere del maresciallo e di due militi, opportunamente avvertiti dal sottotenente della Finanza, Bernardi, riesce a stabilire un attimo di tregua. Ma lo scontro riprende con maggiore violenza subito dopo; dalla terrazza vengono lanciati grossi sassi, vengono esplosi numerosi colpi di rivoltella e, sembra, una bomba carta. Restano feriti il fascista Luigi Astore e il socialista Cafaro. L’arrivo dei rinforzi ristabilisce l’ordine pubblico. Naturalmente vengono tratti in arresto una decina di socialisti che si trovavano all’interno della casa del Desicò, assaltata dagli squadristi. Nuovi incidenti all’indomani, poco dopo le 22; i fascisti appreso che la sera precedente gli operai di rientro con l’ultimo treno da Francavilla, hanno intonato inni “sovversivi” armati di randelli e bastoni si recano alla stazione ferroviaria in attesa degli operai. Quando questi ultimi scendono dal treno, vengono aggrediti dagli squadristi e solo l’intervento della forza pubblica pone fine all’agguato. Vengono sequestrati ai fascisti otto bastoni, due verghe di ferro, due manganelli, una pistola Mauser, che un fascista portava carica, senza licenza. Vengono fermati undici persone – quattro “sovversivi” e sette fascisti. Poco dopo, in piazza Sant’Oronzo, il Vice Questore, al fine di prevenire nuovi disordini, ordina la carica contro una settantina di persone che stanziavano nella piazza, arrestando un socialista. Alla carica effettuata da un pattuglione dei carabinieri intorno alla mezzanotte, per sciogliere una dimostrazione improvvisata dai fascisti: cinque di loro sono fermati.// A Lecce, la riunione degli organi dirigenti dell’Associazione dei Mutilati di guerra si apre con cinque minuti di silenzio per dignitosa commemorazione dell’on. Matteotti.// Nella piccola frazione del Comune di Sannicola, denominata San Simone, si festeggia San Biagio, la banda, alla fine del servizio intona il Piave e Giovinezza, suscitando le proteste di una trentina di forestieri, giunti da Alezio, che chiedevano l’esecuzione dell’Inno dei Lavoratori. Intervengono i carabinieri, che portano in caserma uno di loro, tale Leopizzi, per accertamenti. Non vedendolo tornare, i suoi compagni inscenano una manifestazione di protesta che viene sciolta dalla polizia, costretta a caricare.// Il 23 gennaio 1925, dopo il discorso di Mussolini del 3 dello stesso mese, nel quale egli si era assunta “la responsabilità storica, morale e politica di quanto è avvenuto”, a Novoli, dopo vari appostamenti per scoprire gli autori di scritte sovversive sui muri del paese, i carabinieri, unitamente alle guardie municipali e ai militi della M:V:S:N: [milizia armata fascista] traggono in arresto Bonaventura Maggis e il carpentiere Antonio Marzolla. Nella abitazione del Maggis vengono sequestrati varie copie di giornali antifascisti.// Incidenti anche a Surbo; nel corso di un comizio non avente carattere politico, che l’avv. Silvio Vacca, tiene da un balcono della propria abitazione, l’oratore è interrotto dal segretario del Fascio, dott. Cavetto, che non tollera le critiche rivolte dall’oratore ai fascisti e alla stessa amministrazione comunale. Ne scaturisce un tafferuglio con il ferimento del capo squadra della milizia, tale Marino. Viene arrestato il fratello dell’avv. Vacca, Virgilio, ritenuto l’autore del ferimento, ma viene prima rilasciato e poi nuovamente arrestato. Comunque l’occasione consente alle autorità fasciste di perquisire numerose abitazioni di “elementi sovversivi”, estranei ai fatti.// Gli incidenti si rinnovano, nella serata del 24, in piazza Sant’Oronzo a Lecce: protagonisti, in questo caso, combattenti, trinceristi, arditi e fascisti. Questi ultimi esplodono alcuni colpi di rivoltella. Nei tafferugli che ne scaturiscono, si lamentano tre feriti. L’indomani nella città la tensione è palpabile; molti negozi abbassano le saracinesche per manifestare la propria solidarietà agli ex combattenti. Per questi incidenti verranno condannati a un mese di reclusione Oreste Villa, segretario provinciale comunista e alla pena di due mesi, due ex combattenti. La giornata sembra scorrere tranquilla ma, all’imbrunire, nei pressi del Duomo [Lecce], viene lanciata una bomba carta contro alcuni fascisti che, esplodendo, provoca un grande boato e, naturalmente, panico tra la folla, oltre che diversi feriti, sia pure lievi.. I feriti – il centurione della milizia Gino Garleny, l’ufficiale della milizia Oreste Giordano, Vincenzo Gigli, Giuseppe Russo, Giovanni Arnesano, Vincenzo Bernardini e James Orlandi – vengono immediatamente trasportati con automobili in transito all’ospedale, dove restano in degenza solo il Garley, ferito all’occhio sinistro e l’Arnesano. La città è immediatamente occupata da pattuglioni di carabinieri, agenti specializzati e guardie di finanza, che perlustrano le strade e i vicoli; non si riesce a capire, stante più versioni, se la bomba sia stata lanciata da un terrazzo o da un’abitazione a piano terra. La truppa è comandata in servizio di pubblica sicurezza e lo stesso Tribunale è presidiato da ingenti contingenti di forze dell’ordine. Per il momento si procede all’arresto di cinque comunisti.// [Il 1° Maggio], a Lecce, vengono adottate drastiche misure preventive d’ordine pubblico; nel corso della retata, messa in atto dalle forze di polizia, cadono nella rete della repressione dei più “noti sovversivi”.// Massiccia l’astensione dal lavoro a Lecce, soprattutto da parte della classe muraria e artigianale. […] Si susseguono una serie di minacce nei riguardi del comunista Villa, ordite dagli squadristi della “Disperata”, che opera nella zona organizzando spedizioni punitive contro gli oppositori.// La repressione si estende a macchia d’olio, giorno dopo giorno, e si farà più dura dopo l’istituzione dei Tribunali Speciali per la difesa dello Stato  [1926], finalizzata a sopprimere il dissenso e a trasformare il fascismo in regime dittatoriale. […] Quel che si aprirà – 1926 – sarà caratterizzato dalla spietata attività dei Tribunali Speciali, che processeranno e condanneranno migliaia di antifascisti in Puglia e nel resto del Paese» (v. Mario Gianfrate, Le elezioni politiche del 1924 e i riflessi del delitto Matteotti in Puglia, Suma Editore, Sammichele di Bari, 2014, pp. 37-83).

Tra gli altri, in questa stessa pubblicazione Gianfrate pubblica in appendice una serie di documenti, fra i quali un volantino del Partito Nazionale Fascista (Fascio di Scorrano, 25 marzo 1924). Ma importanti sono altri documenti che Gianfrate pbblica, dei quali riporto il contenuto: il primo è intitolato Incidenti fra combattenti e fascisti nel Leccese: «da “l’Avanti!”, 7.2.1924: Roma, 6.// La “Tribuna” ha da Lecce: Domenica a Galatina hanno avuto luogo le elezioni delle cariche sociali di quella Sezione Combattenti nelle quali vi era un contrasto fra combattenti fascisti e quelli che sono fuori del Fascio. Nei giorni precedenti le elezioni erano già avvenuti incidenti fra elementi in lotta. Domenica ebbero luogo le elezioni delle cariche sociali, in cui trionfò la lista degli elementi democratici. I vincitori vollero tenere una dimostrazione e, in numero di 400 circa, partono dalla sede dell’Associazione, si diressero in piazza del Municipio ove si erano riuniti i fascisti. Benché gli sbocchi fossero sbarrati, pure la massa dei dimostranti riuscì a sfondare i cordoni per cui il maresciallo comandante la sezione dei carabinieri, ad evitare che gli avversari venissero a contatto, caricò ripetutamente i dimostrati ricacciandoli indietro e sbandandoli. Durante le varie cariche furono sparati vari colpi di rivoltella, non si sa da chi (?), che andarono fortunatamente a vuoto. Più tardi gli ex combattenti tentarono nuove dimostrazioni verso piazza S. Antonio, ove si erano riuniti i fascisti, ma anche qui trovarono i carabinieri che sbarrarono il passo», (v. Gianfrate, Op.  cit., p. 94).

Altro documento: «da “L’Avanti!”, 12.3.1924: Persecuzioni contro un compagno a Lecce./ Il compagno Morelli Giorgio, di Bagnolo del Salento, è stato denunciato per la grave colpa d’avere aperto una specie di scuola familiare, dove convenivano coloro che non sapevano leggere e scrivere. Invece della lode, la denuncia. Lo stesso Morelli è fatto segno, in questa vigilia elettorale, a una persistente persecuzione, perché colpevole di non avere piegato la schiena e di tenere fede all’ideale socialista. In tutti i borghi e le città pugliesi affermarsi socialista è dunque delitto?» (v. Gianfrate, Op. cit, p. 95).

Altro documento: «da “l’Avanti!”, 10.8.1924: Come amministrano i fascisti./ San Cesario di Lecce. 9./ (S. S.) Dopo che il Fascio, fascisticamente, provocò le dimissioni della vecchia amministrazione democratica con minoranza socialista, la quale amministrazione, senza essere un modello, pure era riuscita a risollevare il comune dalla grave crisi finanziaria che attraversava, ed anzi lasciava nel comune stesso un attivo di settantamila lire, fu eletta, cioè, “occupò” il Comune, naturalmente con sistema “totalitario”, l’attuale amministrazione fascista. Dopo quasi un anno che i fascisti si occupano della cosa pubblica, il comune si trova in condizioni quasi uguali a quelle in cui si trovava nell’immediato dopoguerra, essendo spariti quei pochi frutti che si erano ottenuti col vecchio consiglio comunale. Le settantamila lire suddette, sembra, siano state spese e spese non proprio bene. Le tasse sono state aumentate dell’ottantaquattro per cento e, naturalmente, chi risente maggiormente dell’aggravio è il ceto operaio e contadino. Le strade sono di nuovo impraticabili. La questione dei medici, che era uno dei capisaldi del programma fascista, è stata risolta nella maniera che tutti sanno. Le case operaie, che a questo ora dovevano essere già abitate, sono di là da venire. E della questione del monumento ai caduti in guerra, che è una delle più gravi e che più interessano i cittadini, diremo in una prossima corrispondenza» (v. Gianfrate, Op. cit., p. 118).

Infine, una nota a margine, che a margine non è. In questo centenario della morte di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924) e nell’87° anniversario della morte di Antonio Gramsci (27 aprile 1937) si sono ripresentare le note antiche contrapposizioni: “è più nobile la morte di Matteotti (socialista unitario, assassinato) che quella di Gramsci (comunista, morto di stenti in carcere). Sandro Pertini (socialista), in tutta la sua vita, ha ribadito: «le morti per mano fascista non hanno un prima e un dopo, sono morti violente, volute essenzialmente da Benito Mussolini e dai suoi accoliti».

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