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VITO VOLTERRA, Un grande matematico antifascista di Piero De Sanctis

Muoiono gli imperi, ma i teoremi di Euclide
conservano eterna giovinezza.

Il 20 settembre 2018, alle ore 15, nel cortile del palazzo della Sapienza di Pisa, si sono riuniti i rettori delle Università italiane per una Cerimonia del ricordo e delle scuse, manifestazione voluta e organizzata dai tre atenei pisani: l’Università, la Normale e la Scuola Sant’Anna, come solenne riconoscimento morale, dopo ottant’anni, ai docenti e studenti scacciati da tutte le scuole di ogni ordine e grado e dalle Università perché ebrei e nella più totale indifferenza dei colleghi e del mondo culturale.
La scelta della città di Pisa non è stata casuale, perché è proprio a Pisa, nella residenza di San Rossore, che il Re Vittorio Emanuele III firmò, il 5 settembre 1938, convintamente le infami leggi razziali, così da allineare l’Italia alla Germania nazista di Hitler. Furono espulsi 448 docenti universitari, 727 insegnanti e funzionari delle Accademie, migliaia di professori e maestri di scuola, circa 6000 alunni delle scuole medie, circa 1000 studenti universitari.
«Troppo facile chiedere scusa oggi, a distanza di tanto tempo», ha osservato nella sua relazione il Rettore Paolo Mancarella dell’Università di Pisa, eppure, ha aggiunto, «era necessario farlo visto che, incredibilmente, dalla Liberazione in poi non c’era mai stata una pubblica manifestazione di autocritica delle istituzioni italiane». La presidentessa delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, prendendo la parola dopo il Rettore, ha detto che l’Italia ha preteso di «uscire dalla vergogna senza il minimo rossore».
Nel 1931 il regime fascista impose ai 1250 professori universitari un giuramento di fedeltà. Soltanto 12 – Ernesto Bonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vita, Fabio Luzzatto, Piero Martinelli, Bartolo Negrisoli, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra – si rifiutarono di firmare. Vito Volterra fu uno di questi, come dimostra il contenuto della sua lettera del novembre 1931.

Sono note le mie idee politiche per quanto esse risultino esclusivamente  
dalla mia condotta nell’ambito parlamentare la quale è tuttavia
insindacabile in forza dell’art. 51 dello statuto fondamentale del
Regno. La S.V. comprenderà quindi come io non possa in coscienza
aderire all’invito da Lei rivoltomi con lettera 18 corrente relativa al
giuramento dei professori.

Nel 1934 si ripeté la stessa storia anche per le Accademie. Volterra fu uno dei 10 accademici che non giurarono. Una scelta di vita irreversibile, difficile e dolorosa, fatta con estrema determinazione, che gli causò la cacciata dall’Accademia dei Lincei di cui era membro fin dal 1887 e Presidente dal 1923 al 1926. A questa privazione si aggiunse la sorveglianza speciale da parte della polizia, ma non per questo diminuì il suo prestigio in Italia e all’estero. Volterra continuò a essere punto di riferimento per matematici e fisici italiani ed europei.
Del resto, questa netta opposizione al fascismo non fu improvvisa, né dettata da una reazione istintiva. Fin dal 1922, infatti, non aveva nascosto una irriducibile diffidenza al fascismo tanto da schierarsi in Senato, da quel momento in poi, contro ogni atto di Mussolini e del suo governo. Nel 1934, nel Senato, dopo l’assassinio del socialista Giacomo Matteotti e il successivo voto di fiducia al governo Mussolini, Volterra fu uno dei 20 senatori che si opposero. Fu uno dei principali firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti apparso il 1 maggio 1925, redatto da Benedetto Croce in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile, anche se, verso Croce, alcuni anni prima, aveva manifestato scarsa simpatia.
La posizione del Croce verso la conoscenza scientifica e, in particolare, verso la matematica, alla quale negava ogni valore conoscitivo in quanto non rientrava nella bicromia del suo schemino ideologico formato dalle categorie teoretiche dell’Estetica e della Logica, era ben nota a Volterra fin dal 1902. E’, infatti, del giugno 1902 una lettera, indirizzata al giovane Giovanni Vailati – uno dei più acuti pensatori del periodo -, nella quale il Croce espone chiaramente il suo pensiero: «…grazie della recensione del discorso del Volterra. Non c’è dubbio che l’applicazione della matematica valga a risolvere o semplificare questioni intricate di indole “pratica”. Sull’indole delle scienze filosofiche non può avere alcuna influenza, e se l’ha, sarà cattiva, ossia tenderà a snaturarle, celando ciò che è proprio e peculiare di quella scienza. La matematica numererà e misurerà gli oggetti, ma il fatto economico è scelta e volontà, ossia non è nulla di riducibile alla considerazione matematica ». Si tratta, dunque, di una concezione delle scienze matematiche e naturali come forma di sapere costitutivamente e irrimediabilmente particolare, esterno per definizione, al campo della riflessione filosofica. Questa concezione di netta separazione tra scienza e filosofia, sarà applicata, in seguito, dal Gentile, alla riforma dell’istruzione della scuola media superiore e dell’università secondo una visione classista, in cui si privilegiava l’aspetto classico-letterario, a scapito della conoscenza scientifica ritenuta utile solo come attività pratica. E qui, il Croce, oltre a manifestare tutta la sua ignoranza in fatto di scienze, dimostra di non aver capito una delle conquiste più importanti di Marx: l’importanza dell’attività pratica rivoluzionaria.
Vito Volterra nasce ad Ancona nel 1860 da famiglia povera. Perse il padre quando aveva due anni e, in ragione di ciò, la madre si trasferì a Firenze dove Vito si diplomò all’Istituto Tecnico con ottimi voti. Nel 1882 si laureò a Pisa, presso la Normale. L’anno successivo vinse il concorso per la cattedra di Meccanica razionale e, a soli 23 anni, divenne docente nella stessa Università. Passò poi all’Università di Torino nel 1892 e, nel 1900, vinse la cattedra di fisica matematica all’Università di Roma dove rimase definitivamente.
Ancora studente alla Normale pubblicò due articoli dedicati ai rapporti tra le due operazioni di derivazione e integrazione, intuendo che si tratta di due operazioni una inversa dell’altra. A soli trent’anni è già riconosciuto non solo uno dei fondatori dell’Analisi Funzionale, ma uno dei più geniali conoscitore delle equazioni integrali che ancora portano il suo nome e alle quali apporta significativi contributi determinandone le soluzioni.
Ma Vito Volterra non è stato soltanto uno dei più grandi matematici del suo tempo, noto e stimato in tutta l’Europa, ma anche un importante divulgatore e organizzatore culturale. Gli anni 1906-1907 sono per l’Italia e l’Europa, anni di grande fermento e di rinnovamento culturale. Sull’onda delle nuove scoperte scientifiche (la quantistica del 1900 e la relatività speciale del 1905), e sull’impetuoso sviluppo della civiltà delle macchine, si riaccendono le polemiche e i contrasti tra scienza e filosofia. Due fronti opposti: il primo guidato da due eminenti fisici e matematici, come Federico Enriques e Vito Volterra e il secondo guidato dai filosofi neoidealisti Benedetto Croce e Giovanni Gentile.
L’idea centrale del programma di rinnovamento di Volterra era quella di lottare per affermare un punto di vista più alto e superiore in relazione a un complesso di trasformazioni interne al campo scientifico, dacché quello positivistico non era più sostenibile. Del resto la fondazione della Rivista di scienza, in seguito Scientia, già si muove sul terreno di uno stretto legame fra scienza e filosofia: sul quale si ponevano non soltanto il concetto di scienza, il concetto di realtà, i concetti di spazio, tempo e materia ma, soprattutto, si discuteva sull’organizzazione della cultura italiana nei suoi vari gradi.  Ed è proprio l’insieme dei fatti scientifici nuovi che spinge Volterra a scrivere sulla Rivista Scientia un importante articolo dal titolo Il momento scientifico presente e la nuova società italiana per il progresso delle scienze, nel 1907 (SIPS). In esso si legge che sono le nuove scoperte scientifiche – in fisica, matematica, biologia, economia – «a sviluppare un sentimento tutto nuovo, moderno e originale che chiamerei sentimento scientifico, il quale  domina beneficamente la nostra epoca….Tutte le discipline scientifiche traversano oggi una grande crisi, crisi delle condizioni in cui si elaborano, crisi del pensiero filosofico che le informa……Forse agli occhi dei nostri posteri il momento storico attuale apparirà come a noi quello del Rinascimento, in cui il concetto del sistema del mondo cambiò la base in cui era poggiato».
Nel 1905, dopo aver contribuito alla ristrutturazione del Politecnico di Torino, è nominato senatore. L’anno successivo espone il progetto della SIPS, che avrebbe dovuto rispondere, negli auspici di Volterra, «a un bisogno dell’epoca presente.». Nell’aprile del 1911, al V Congresso Internazionale di Filosofia, organizzato e diretto da Federico Enriques, che si svolge a Bologna, Volterra presiede la sezione di logica e teoria della scienza alla quale parteciparono i più importanti logici italiani.
Come abbiamo già accennato gli anni della prima decade del XX secolo sono anni intensi di lavoro: tutti dediti alla ricostruzione dell’Italia postunitaria, di una Italia da mettere al passo coi tempi, da far progredire e ammodernare nella scuola, nell’educazione, nell’economia, nell’industria e nel commercio. La SIPS, nel condividere pienamente questa impostazione, indicò, inoltre, la via del collegamento internazionale al fine di porre l’Italia su un terreno di impresa scientifica, tecnica e produttiva moderna, ispirandosi a quanto era stato fatto in Francia. Volterra, quindi, crea, organizza e dirige in Italia l’Ufficio Invenzioni e Ricerche, nucleo originario del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sorto nel 1923 come emanazione del Consiglio Internazionale delle Ricerche, istituito nel 1919 dai paesi interalleati e di cui fu il primo Presidente.
L’amicizia con la Francia e l’Inghilterra aveva radici antiche, non solo riguardo ai rapporti culturali, ma soprattutto per quelli matematici per i quali Volterra era assurto ad una delle figure più autorevoli nel panorama scientifico europeo. Nel Convegno Internazionale di Matematica tenutosi a Bologna nel 1928, i due grandi matematici francesi, Maurice Frechet e Jacques Hadamard, riconoscono in Volterra il fondatore di una nuova branca della matematica: l’Analisi Funzionale.
Morì a Roma nel 1940, amareggiato dalla discriminazione razziale che aveva colpito sia lui che le sue opere.  Scrisse il suo epitaffio: Muoiono gli imperi, ma i teoremi di Euclide conservano eterna giovinezza.

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