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MIO CARO ENNIO

Ricordi sparsi di compagni

di Erman Dovis, Danilo Sarra, Maurizio Ceccio

 

Erman Dovis
Ho conosciuto Ennio una domenica mattina di inverno a Teramo, non mi ricordo più di quale anno. Era inverno perché faceva freddo, ed il compagno Pippo mi aveva invitato ad una riunione del Centro Gramsci di Educazione, quel giorno erano presenti anche i compagni Piero De Sanctis, Lodina Di Pietro e Lia Amato. Ancora non lo sapevo, ma grazie al Centro Gramsci sarei cresciuto tantissimo, sia politicamente che umanamente. Tra loro c’era Ennio, con quel suo cappotto lungo e la sua immancabile cravatta, con quegli occhiali scuri che solo dopo ne capii il motivo. Una immagine che trasmetteva autorevolezza e compostezza.Ricordo che pensai somigliasse a Breznev. Tempo dopo, quando eravamo entrati in intimità ed ero solito spezzare momenti di riflessione con battutacce scurrili che lui mi stoppava (ma so che lo divertivano), per stuzzicarlo gli ricordavo questa mia prima impressione.  Ennio ridacchiava e il paragone non lo gradiva, lui che aveva scelto cinquant’anni prima da che parte stare, decidendo di percorrere il sentiero luminoso della coerenza rivoluzionaria piuttosto che la comoda via del conformismo e dell’opportunismo.
Perché Ennio, per tutti quello che lo hanno conosciuto,  è stato un esempio di coerenza rivoluzionaria assoluta e di totale dedizione alla causa.
In un’epoca sempre più contrassegnata dal trasformismo e dall’opportunismo, quella sua coerenza illuminava come un faro che lo colloca senza dubbio sulle più alte vette dove risiedono i Maestri del proletariato.
Tutto per Ennio era in funzione della classe operaia, lo diceva sempre, lo ripeteva come un mantra: “Lottare contro le classi sfruttatrici, per una società di liberi ed uguali. Lottare ed educare per le conquiste sociali e democratiche; lottare ed educare due volte per difendere le conquiste; lottare ed educare tre volte e per andare avanti”.
Non si doveva perder tempo ed energie dietro accanimenti gregari o contro falsi bersagli sovrastrutturali(Ennio ci faceva sempre l’esempio del contadino, del fattore e del padrone) ma creare unità, rompere l’isolamento dei lavoratori ed assestare il colpo al responsabile vero, la borghesia monopolista.
E’ difficile, quasi impossibile fermare su carta ricordi e insegnamenti che hanno plasmato parte della mia vita, ma se ci penso mi rendo conto di come sono stato fortunato ad aver vissuto un pezzo di storia.
Ennio è stato per me un maestro, è stato un esempio.
Ennio Antonini è stato per me ciò che per lui furono Antonio Gramsci, Fosco Dinucci ed il Partito comunista d’Italia (m-l), una scuola di comunismo, di marxismo-leninismo, ma anche di modestia rivoluzionaria. Tutto quel suo bagaglio di esperienze lo trasportò, insieme ad altri straordinari compagni, nel Centro Gramsci di Educazione, che nel suo sforzo quasi trentennale ha continuato a difendere e portare avanti gli autentici valori politici e culturali del movimento marxista-leninista italiano, dell’unità della classe operaia e dei lavoratori, dell’unità dei comunisti e della sinistra, sempre in costante aggiornamento rispetto ai fatti ma coerenti nei princìpi, ed in condizioni generali sempre più difficili e proibitive.
Ennio aveva una altissima preparazione teorica, una conoscenza del marxismo assoluta,  le sue analisi trovavano sempre conferma nella realtà, sempre.
Egli aveva una mente straordinaria, ma era allo stesso tempo una persona assolutamente modesta, e questo ai miei occhi lo rendeva ancora più grande, degno di un rispetto ed una ammirazione assoluti. Lui infatti ci ricordava sempre  di Fosco Dinucci che a 65 anni suonati portava la valigia ai compagni . Si comportava così ed ha trasmesso a noi questo straordinario modo di comportarsi, da comunista vero.
Più ci penso e più emerge la differenza cosmica tra il modo di essere di Dinucci e di Ennio rispetto a quello deisedicentidirigentuccoli borghesi praticoni e opportunistiche mi è toccato conoscere, pieni di boria e vuoti di cervello, sempre alla ricerca di poltrone dove poggiare i loro culimolli, molto più molli della “durezza rivoluzionaria” delle loro chiacchere.
Ricordo come si preoccupava per tutti i compagni, per le difficoltà quotidiane sempre più pressanti per ognuno di noi. Ricordo il suo sincero dolore per la scomparsa di compagni come Mario Geymonat e Vittorio Pesce Delfino, e la sua determinazione ad andare avanti anche nel loro ricordo.
Un giornomi disse che nel prossimo numero della rivista Gramsci avrei scritto un articolo. Io, che non  avevo scritto mai niente.
“Sei un operaio, se non lo scrivi tu chi lo dovrebbe scrivere? Forse lo deve scrivere XXXX  XXXXX? E che ne sa quello, che non ha passato nemmeno un giorno in fabbrica? Che ne può sapere di lotta di classe? Non lo hai sentito domenica scorsaad Alba Adriatica? Citava il papa” . E rideva.
Questo era Ennio, per lui la classe operaia deve dirigere tutto ed essere protagonista cosciente del cambiamento, non uno strumento nelle mani del piccolo-borghese revisionista e pseudo intellettuale alla ricerca di vanagloria. Questo emergeva sempre in qualsiasi analisi e sforzo editoriale del Centro Gramsci, in ogni convegno organizzato.
Ci diceva sempre di studiare Gramsci e gli articoli di  Nuova Unità fino al 1991, con loro non si sbagliava.
Mi tornano in mente tanti momenti passati con Ennio: i libri fatti insieme, l’onore di farmi scrivere l’introduzione alla raccolta “LOTTA PER LA PACE”, le note editoriali ai libri successivi in collaborazione con altri compagni, compreso l’ultimo lavoro editoriale ( L’egemonia del Socialismo, edizioni Centro Gramsci ) costatoci sacrificio e sudore nonché sforzo analitico e di ricerca.
Un altro suo insegnamento fu infatti quello di farci agire in collettivo, rifiutando l’individualismo, anche nello sforzo di ricerca e di scrittura. E noi così abbiamo fatto.
Un pomeriggio mi regalò il libro di Xu He, “Trattato di economia politica”. Non mi pareva vero, e lui me lo porse con il suo sorriso, dicendomi “Erman, mannaggia non sai che fatica ritrovare questa copia, ho ribaltato tutta la casa ma sapevo di averne un’altra oltre la mia da qualche parte. Studialo, conservalo, leggilo, a partire dal capitolo delle crisi del capitalismo. E’ un libro straordinario”.
Ma ci furono tanti altri pomeriggi, come quelli  passati a lavorare sui documenti, le telefonate che Ennio faceva a Piero per discutere in diretta dell’ultimo periodo inserito, l’entusiasmo di Ennio nel trovare il concetto giusto, la parola giusta. Il fastidio che invece provava quando Lodina ci obbligava a fare una sosta per prendere un tè, perché temeva di perdere tempo prezioso. E ricordo di quando mi richiamava al telefono neanchedieci minuti dopo essermene andato da casa sua,completamente cotto, non prima però di avergli ripulito il frigo e la cucina con suo sommo divertimento(perché diciamocelo, costavo molte provviste alimentari ad Ennio e Lodina).
Non dimenticherò mai i convegni nazionali a Roma e  quelli fantastici a Rionero con il Centro Gramsci a cui ormai appartenevo ideologicamente, anzi ero sempre appartenuto anche prima di saperlo. Ricordo i preparativi organizzativi, la tensione dei momenti, gli straordinari compagni che ebbi la fortuna di conoscere e da cui ho  imparato molto.
Neppure scorderò però l’opportunismo di chi all’epoca si faceva invitare in funzione del proprio ricollocamento all’interno di partiti e partitini, con la scusa di fantomatiche “ricostruzioni”.
Una volta ottenuta la visibilità bramata, i sedicenti dirigenti revisionisti sparivano, e cominciavano ad attaccare il Centro Gramsci, con più livore del nemico di classe.
Ma è giusto così, perché come diceva Ennio è nella realtà delle cose che smascheri l’opportunista, il revisionista moderno, il falsario.Il tempo è galantuomo, verrà il momento in cui inevitabilmente pagheranno il conto. E sarà molto salato, perché ci sono cambiali alle quali non  si sfugge neanche volendo.
In politica la forma è sostanza, diceva Ennio. Lui di sostanza ne ha avuta tanta, e si è sacrificato per trasmetterla ai compagni, per costruire, sempre. Mai per frazionare o dividere.
Ho imparato tanto da lui, e tanto avevo ancora da imparare. Ora non mi sarà più possibile farlo.
Ancora una delle ultime volte che andammo a trovarlo, promisi ad Ennio che saremmo andati tutti a farci una mega mangiata di pesce, e lui che amava questo genere di “riunioni conviviali”, sapeva di trovare in me una sponda ideale. Anche questo non mi sarà più possibile fare.
Mio caro Ennio, sento che le parole non riescono a dare un senso compiuto a ciò che provo, o forse si.
Se però penso al marxismo-leninismo, alla gloriosa storia delle lotte degli operai e dei contadini, degli umili e degli sfruttati, se penso alla lotta per il socialismo, al comunismo, mi tornano in mente i tuoi libri straordinari scritti con Scavo e Cassinera, mi tornano in mente Antonio Gramsci e FoscoDinucci.
Mi torni in mente tu, Ennio.
Tu e il tuo, il nostro Centro Gramsci. Il Centro Gramsci della classe operaia.
Perché Ennio era la classe operaia. E secondo la Sua definizione, la classe operaia intesa non come l’insieme quantitativo o una parte qualsiasi dei lavoratori ma quella che opera pensando e che pensa operando per la collettività, per un domani migliore.

Ennio, ti ho voluto tanto bene. Non ti dimenticherò.

Mio caro Ennio, grazie di tutto.
ERMAN

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Danilo Sarra
Io posso dire di aver conosciuto un uomo che ha fatto dello studio e del sacrificio per gli altri la sua gratuita ragione di vita. Non un sacrificio comodo e buono solo per la coscienza personale, come la carità, ma un sacrificio estremo, quotidiano, in perenne lotta contro le avversità, di ore intere passate a pensare, a studiare, ad ascoltare, ad educare, a pesare le parole. Ma chi pesa più le parole, oggi? Ecco, io ho conosciuto un uomo che per trovare una sola parola che fosse quella giusta ci metteva pomeriggi interi: e pur trovata, il giorno seguente, ne trovava una migliore o più adeguata al movimento sopravvenuto nel frattempo nella realtà. “Non parlate voi, fate parlare i fatti e la scienza”, ci ripeteva costantemente. E per ogni interrogativo, ogni fatto, ogni dichiarazione, aveva una parola giusta, ferma, lapidaria, mai insicura. Quando una volta lo nominai e lo ringraziai in pubblico, si innervosì e mi richiamò: “E’ sbagliato. Mai personalizzare. Sono i fatti e la scienza che parlano, basta ascoltarli: il genio non esiste”. Più di Galileo, per lui contavano gli operai dell’Arsenale che avevano fabbricato il telescopio: senza quegli operai, senza l’Arsenale, Galileo non avrebbe scritto una frase.  A molti di noi ha insegnato una parola sempre più sconosciuta e scarnificata: “collettivo”. Su quel concetto sempre batteva, ossessivamente. “Sai qual è il nostro problema? Perché la lotta per il socialismo è così dura? Che i padroni lavorano per conto proprio, mentre i comunisti lavorano per conto terzi, per i lavoratori e per l’umanità intera”. Quell’uomo non ha mai ceduto all’individualismo, alla voluttà del nome, e poteva benissimo affermarsi come un genio in mezzo agli altri. Tante volte ce lo siamo detto fra di noi che lo abbiamo conosciuto: “Ah, se avesse voluto, con la politica sarebbe diventato ricco e famoso”. Invece no. Ha fatto politica per ogni secondo della sua vita, fino alla fine, con un solo sogno che era e sempre sarà il sogno di tutti: “un mondo di pace di liberi ed eguali”. Politica nel senso più alto, come attività innanzitutto intellettuale, morale, soprattutto educativa e solo secondariamente nel senso elettorale. Nessuno di chi lo ha conosciuto e frequentato potrà mai sostenere di averlo sentito dire “Io ho scritto…Io ho detto…Io ho fatto”. Mai. Eppure a noi, troppo tardi consapevoli, ha lasciato la maggior parte di quello che siamo diventati: e dare agli altri, ai più giovani, quello che Ennio ci ha insegnato, e il modo migliore per riconoscergli il tributo che merita. Chi di noi, prima di Ennio, aveva scoperto la gioia di scrivere un articolo in due o in tre o in più persone, e non in uno? C’era un documento. “Il monopolismo”. Lo scrisse praticamente da solo, in un’estate lunghissima e caldissima. Ma invece del suo nome, c’era quello del Centro Gramsci e, a margine, c’erano i nomi di tutti i compagni che avevano letto e suggerito modifiche a quel documento. La cosa che solo gli interessava era l’efficacia del documento per il proseguo della lotta. Non la gloria, non il riconoscimento di una genialità che certamente possedeva, ma che non gli interessava veder glorificata. Si inquietava, si dimenava sulla sua sedia per trovare il modo più semplice per esprimere concetti complessi, affinché tutti potessero capire senza fraintendere e ricevere le risposte che desideravano. Mi ricordo una telefonata, di domenica pomeriggio. A scuola avevo sempre odiato la Commedia di Dante, o almeno non mi interessava. Ma quella domenica pomeriggio mi disse che “non esiste verbo più perfetto per esprimere il farsi dell’unità che quello di “organare”, usato da Dante nella Commedia. Compito nostro è “organare”. Il resto è fumo negli occhi”. Ora, ogni volta che leggo le parole di Dante sull’incontro con la Lupa, non posso trattenere i brividi. Ennio ci ha insegnato la bellezza sconvolgente delle parole. Una volta mi chiamò, esultante, perché aveva trovato la parola giusta per descrivere la situazione attuale della società: “decomposizione”. Nessun’altra parola riusciva più di quella ad esprimere lo sgretolamento dei rapporti umani ad ogni livello e, nello stesso tempo, la crisi della democrazia nelle sue fondamenta. “La rivoluzione democratica e la rivoluzione socialista sono due colonne di uno stesso edificio”, così ci diceva. Nello stesso tempo era afflitto, tremendamente, perché sapere di lavoratori e lavoratrici in difficoltà lo distruggeva. Aveva appena sentito un vecchio compagno, in estrema difficoltà. E si sentiva dalla sua voce che soffriva più di quel compagno. Ma trovava subito la forza di reagire, di non perdere neppure un secondo di coscienza, fino a risultare opprimente, poiché sapeva benissimo che continuare a studiare, approfondire, scrivere e poi diffondere e di nuovo discutere, studiare, approfondire, scrivere era l’unica strada possibile per trarre quel compagno e l’umanità intera fuori dalle sofferenze. Nel frattempo, Ennio mi aveva trasmesso l’amore viscerale per Antonio Gramsci. E così, tra uno scritto di Gramsci e l’altro, vidi che proprio Gramsci usava quel termine, “decomposizione”, per definire il terreno sociale, economico e culturale sul quale si innestava il fascismo. Allora ho capito: ogni parola detta e scritta da Ennio, era la voce di Antonio Gramsci, e con lui di Marx, Engels, Lenin, e della classe operaia passata e futura. Ennio era e sempre sarà “organato” a quella storia. Un terrore lo affliggeva, lo struggeva, e lo faceva dubitare sulle sorti del mondo: la bomba atomica. Insisteva spesso nel dire che la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki è stato l’atto più vile, spudorato e violento dei monopolisti contro la classe operaia. “L’errore più grande fatto dall’uomo”, diceva, “è stato la bomba atomica”. Perché Ennio, da scientifico marxista-leninista che era, non poteva concepire che la scienza servisse la morte più che la vita, il dolore più che la gioia, il nulla più che la creatività.  E che dire di quel pomeriggio afoso d’estate, quando disse: “Se scavi col ditino, piano piano, alla fine, in fondo, trovi il soldino. Ma se non scavi, e con pazienza, è normale che non trovi niente!”. Questi sono insegnamenti universali. In quelle parole è contenuta la necessità vitale della ricerca e del ricercare. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”: questo era Ennio, fedeltà indomabile alla conoscenza: anzi, proprio una “canoscenza” visto l’accanimento con il quale si buttava su libri, rassegne stampa e dialoghi con l’altro, e una canoscenza straordinariamente interessata, avidamente interessata, ma di un interesse non suo, personalistico, intellettualistico, ma nell’interesse dei lavoratori e dell’umanità. Nessuno come lui, infatti, sognava e desiderava una “società di liberi ed uguali”. In quel sogno Ennio ha sempre vissuto e sempre vivrà e sono convinto che riderà, come sempre sapeva fare, quando l’umanità avrà raggiunto quel traguardo. “Il mondo è nato per arrivare alla Comune”, così ci ha detto la penultima volta che lo abbiamo visto. Sul letto di un ospedale, ma ancora e irriducibilmente in lotta. Cos’è Ennio per noi oggi? Un modello da seguire, una immensità da rincorrere e che ci obbliga a fare sempre meglio, sempre di più, fino alla fine.
Tanto altro ci sarebbe da dire, ma i ricordi sono tanti e tanti ancora dovranno affiorare nel corso dei giorni. Intanto io sono fiero di aver conosciuto Ennio Antonini. E sono fiero di aver avuto il suo bene e il suo affetto, e di averlo avuto come educatore: e sono terribilmente afflitto per non averlo ricambiato nella giusta misura. Mi dispiace che i giovani compagni che ora si affacciano alla politica non possano ascoltare le sue parole e i suoi insegnamenti. Ma se Ennio ci ha insegnato qualcosa, è proprio quella di non disperare, ma di continuare a lottare: e i suoi insegnamenti continueremo noi.

DANILO

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Maurizio Ceccio
È davvero difficile per me scrivere di Ennio.
Il dolore è grande e i pensieri che si accavallano nella mente sono tantissimi che non riesco a fare ordine.
Ho avuto il grande privilegio di conoscere Ennio Antonini a Rionero in Vulture dopo un convegno nazionale, sulla Pace e il progresso dei popoli, che il Centro Gramsci di Educazione (e di Cultura, così si chiamava a quel tempo) aveva organizzato in quella città.
Ricordo che dopo il convegno si tenne una riunione, alla quale fui invitato dal compagno Carlo Cardillicchio, nella sede storica del Pdci di Rionero alla quale parteciparono, oltre ad Ennio, altri compagni del CGE: ricordo Milena Fiore, Ada Donno, Maurizio Nocera, Piero De Sanctis, Erman Dovis, Pippo Tiberio e Mario Mazzarella.
Ricordo la soggezione che ho provato nel momento in cui, a turno, i compagni analizzavano gli interventi dei relatori al convegno. Mi fu subito chiaro che ero al cospetto di persone dallo spessore intellettuale enorme e infatti poco dopo capii che avevo a che fare con i giganti del marxismo-leninismo italianoeuropeo. Ad ogni modo, quando infine fu il mio turno, intervenni anch’io cercando il più possibile di limitare i danni non impoverendo la discussione fino ad allora condotta.
Subito dopo ci furono le conclusioni di Ennio e qui accade un fatto indimenticabile per me: Ennio si commosse. Immaginavo di aver fatto pena con il mio discorso, ma non fino a far lacrimare un compagno di quella levatura!
Scoprì in seguito che quelle di Ennio erano lacrime di gioia e di speranza. A quanto sembrava, al caro Ennio, ero apparso come terreno buono da coltivare col seme del marxismo-leninismo. Mi disse che era motivo di grande gioia per lui scoprire che nel profondo sud ci fossero giovani compagni che avrebbero potuto contribuire a portare avanti la battaglia culturale che il Centro Gramsci conduceva ormai da decenni. Così fui “cooptato” e mi proposi di realizzare un nuovo sito web per il Centro.
Da quel lontano settembre del 2011, fino a qualche mese, fa i contatti con Ennio furono intensi e costanti. Il CGE divenne la mia scuola di formazione politico-culturale ed Ennio il primo dei miei maestri.
Non dimenticherò mai le ore interminabili passate al telefono.
Mi spiegò, armato di pazienza e umiltà, i concetti fondamentali del materialismo storico e il suo complesso sviluppo nelle analisi leninista e gramsciana; mi insegnò a usare gli strumenti che i Maestri del proletariato mondiale avevano forgiato nella fucina della lotta di classe evitando di cadere nella trappola del settarismo e massimalismo; a distinguere gli sciovinisti dai rivoluzionari; a diffidare dai rossobruni e rossoscarlatti; abbiamo discusso di storia e scienza, antropologia culturale, geografia fisica e politica, letteratura e arte.
Abbiamo marciato insieme nel solco rivoluzionario tracciato da Marx e Engels, Lenin e Stalin, Mao e Gramsci.
Conservo ancora un quaderno che utilizzavo per prendere appunti durante le nostre conversazioni “tecniche”.
Ennio era rigorosissimo, ma non dogmatico.
Nonostante alcune sue difficoltà fisiche, riusciva ad interpretare ed ad analizzare la realtà sociale con una lucidità disarmante.
Era dotato di una dolcezza infinita, virtù che appartiene a pochissimi comunisti rivoluzionari!
Ennio era il mio conforto. Ricordo che quando accadeva qualche importante evento a livello internazionale cercavo sempre il confronto con lui per capire come gli scenari politici mondiali sarebbero mutati e quale sviluppo avrebbero preso gli eventi futuri, perché la sua analisi sarebbe stata precisa e non mi avrebbe deluso.
E quando invece era la realtà oggettiva a deludermi, lui cercava sempre di incoraggiarmi, di smuovermi alla lotta e di farmi assumere le mie responsabilità: se avevamo fallito ancora, era prima di tutto “colpa” nostra.
Per un quadriennio ci sentimmo telefonicamente così spesso che (e questo lo sanno in pochi) dedicai un numero di telefonia fissa solo per parlare con lui, e a volte con Piero De Sanctis, un filo rosso diretto che utilizzavamo per svolgere alcune attività per il Centro come scrivere o correggere documenti e articoli, realizzare locandine dei convegni, impaginare la rivista Gramsci e i libri editi dal CGE, rielaborare loghi e carte intestate. Un giorno credo di essere stato al telefono con Ennio più di dieci ore: ne uscimmo entrambi distrutti, ma io anche entusiasta perché riempivo, sempre più, il mio sacco di farina.
Ma in questi anni non ci sono state solo maratone telefoniche infinite (per non parlare di quelle fatte collegialmente con gli altri compagni in videoconferenza!!). Ci sono stati incontri, riunioni, convegni nazionali in sedi prestigiose con relatori e ospiti eccellenti. Addirittura ad uno dei tanti convegni riuscimmo a collegarci in diretta video con il compagno Josè Reinaldo Carvalho, del Partito comunista del Brasile (PCdoB), dall’altra parte del mondo! E alla fine di ogni nostro rendez vous restava sempre tanta soddisfazione per la riuscita dell’impresa condotta, con pochissime risorse ed enormi sacrifici, dal Centro Gramsci.
Gli insegnamenti di Ennio erano così preziosi che insistentemente gli chiesi (come immagino abbiano fatto anche gli altri compagni) di scrivere un libro in cui racchiudesse tutta la sua esperienza di vita e di lotta affinché quell’inestimabile patrimonio politico e culturale non andasse perduto. Quando ne parlavamo, ripeteva sempre che non era uno sforzo che avrebbe potuto fare da solo, e che magari, affiancato da qualche giovane compagno, ci avrebbe anche pensato. Ed è così che iniziò a scrivere UNIONE, un’opera purtroppo incompiuta, presente anche sul sito del CGE in formato elettronico. In occasione di un incontro, utile alla preparazione di uno dei tenti convegni nazionali, nella sala stampa del Senato a Roma, Ennio portò alcune copie stampate della seconda bozza che donò ai compagni presenti quel giorno: io ebbi la fortuna di ricevere la copia numero 28!
Ho ammirato tantissimo Ennio e adesso che non potrò più sentirlo né vederlo mi mancherà terribilmente.
Ora siede là, con i maestri del proletariato mondiale.
Ora è diventato patrimonio inestimabile dell’avanguardia della classe operaia e nelle lotte che condurremo, nelle sconfitte che ancora subiremo, ma soprattutto nel Socialismo che infine edificheremo, Ennio vivrà!

Ti ho voluto un gran bene, Ennio caro.

Un caro abbraccio.
Sempre tuo, MAURIZIO.

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