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RAPPORTI TRA SCIENZA TECNOLOGIA E TECNICA di Piero De Sanctis

Una storia critica della tecnologia dimostrerebbe, in genere, quanto piccola sia la parte d’un singolo individuo in un’invenzione qualsiasi del secolo XVIII. Finora tale opera non esiste. Il Darwin ha diretto l’interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi vegetali e animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita eguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare? E non sarebbe più facile da fare, poiché, come dice il Vico, la storia dell’umanità si distingue dalla storia naturale per il fatto che noi abbiamo fatta l’una e non abbiamo fatto l’altra? La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita, e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali e delle idee dell’intelletto che ne scaturiscono. Neppure una storia delle religioni, in qualsiasi modo eseguita, che faccia astrazione da questa base materiale, è critica. Di fatto è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose che, viceversa, dedurre dai rapporti reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico. I difetti del materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali, che esclude il processo storico, si vedono già nelle concezioni astratte e ideologiche dei suoi portavoce appena s’arrischiano al di là della loro specialità.

(Il Capitale: libro primo, vol.2 Ed. Rinascita 1952, pag. 72, nota89)

 

«Bellissima, anzi meravigliosa è la fabrica del Filatoio ad acqua, percioché si veda in essa tanti movimenti di ruote,fusi, rotelle e altri sorti di legni per traverso, per lungo, e per diagonale, che l’occhio vi si smarrisce dentro a pensarvi, come l’ingegno humano, habbia potuto capire tanta varietà di cose, di tanti movimenti contrarij mossi da una sol ruota, che ha il moto inanimato».

Con queste parole piene di ammirazione e di stupore lo storico V. Zonca presentava nel 1607 per la prima volta pubblicamente una delle più importanti conquiste tecniche del secolo: una macchina per filare e torcere la seta azionata dall’energia idraulica, costruita e via via perfezionata nelle botteghe degli artigiani italiani del tardo Medioevo. Il filatoio idraulico fu uno dei pilastri su cui poggiò il predominio, sui mercati internazionali, della nostra industria serica protrattosi per quasi mezzo millennio. Basti ricordare alcuni nostri grandi pensatori rinascimentali quali Leonardo, Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Buonarroti che seppero creare un ambiente pervaso da una cultura tecnica di assoluta avanguardia, premessa per la grande rivoluzione scientifica del Seicento.

In quegli anni, intorno al 1607, Galilei era già all’Università di Padova dove, per ristrettezze finanziare, era costretto anche a dare lezioni private ad alunni italiani e stranieri, a tecnici e militari in cerca di conoscenze più approfondite, «giacché tali lezioni vertevano non tanto sulle discipline accademiche, quanto sugli argomenti che le nuove esigenze tecniche rendevano attuali, riguardanti l’uso delle macchine in generale, i problemi di idraulica, di balistica, di costruzioni specialmente militari.». ( Antonio Banfi, Galileo Galilei, Ed Il Saggiatore,1961).

Nelle officine meccanizzate dei fabbriferrai del quattro-cinquecento, sorte nei luoghi in rapporto alla disponibilità dell’acqua, già si pongono problemi tecnici e teorici di insufflamento della forgia ottenuto da due mantici in movimento alterno e la battitura di un pezzo metallico mediante un maglio di cui si possa rallentare o accelerare la frequenza dei colpi mediante la minore o maggiore velocità di una ruota idraulica.

A questi nuovi problemi tecnici e alle questioni delle fortificazioni relative al rinnovarsi delle tecniche di guerra, certamente si legano i due manoscritti compilati da Galilei per uso degli studenti : Breve istruzione sull’architettura militare e Trattato di fortificazione. Dello stesso periodo è lo scritto Le meccaniche, destinato anch’esso all’uso degli scolari privati, che contiene non solo un’esplicazione scientifica del funzionamento delle macchine semplici, ma soprattutto una generalizzazione della stessa legge archimedea della leva in senso dinamico che ancora oggi va sotto il nome di “momento di una forza”.

Costante era il contatto di Galileo con i lavoratori dell’Arsenale di Venezia dove convenivano viaggiatori, commercianti, studiosi e tecnici. L’Arsenale  era allora la struttura tecnica più attrezzata d’Italia e la più ammirata d’Europa. Il Problema della resistenza dei materiali, del rendimento delle macchine e della loro resistenza, il problema assai più generale della coesione e della costituzione della materia, emendata dal suo involucro metafisico-finalistico della fisica aristotelica, sono il contenuto dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai movimenti locali. Quest’opera si apre con il ricordo dell’Arsenale dove « largo campo di filosofare agli intelletti speculativi parmi che porga…atteso che quivi ogni sorta di strumento e di macchina vien continuamente posta in opera da numero grande di artifici, tra i quali e per le osservazioni fatte dai loro antecessori, e per quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi facendo, è forza che ve ne siano dei peritissimi e di finissimo discorso».

Nei Discorsi, inoltre, Galilei porta a termine il problema generale del moto dei corpi (indagine iniziata con lo scritto giovanile De motu del periodo pisano): della caduta dei gravi, del movimento dei proietti connesso con gli studi di balistica relativi all’uso delle artiglierie, della composizione dei movimenti, del principio d’inerzia, della relatività dei moti nei quali, per la prima volta, vengono definiti in maniera chiara i concetti di spazio, tempo, velocità, accelerazione e quello di massa di un corpo, come rapporto costante di proporzionalità tra la forza ad esso applicata e la corrispondente accelerazione prodotta. Il problema della coesione e costituzione della materia e di quelli che vi si connettono lo porta, con Democrito, ad ammettere che essa sia costituita da infiniti atomi indivisibili e da infiniti vacui. Ne conseguono nuovi  problemi di ordine generale e più complessi, quali i concetti di finito e infinito, di continuo e discontinuo che per Galilei, per quanto logicamente contraddittorie, sono espressioni necessariamente connesse con la struttura della materia. Quest’ultimi problemi giungeranno a maturazione soltanto nell’Ottocento con la creazione del calcolo infinitesimale.

Nei secoli XVI e XVII l’industria della guerra faceva ingenti richieste all’industria metallurgica ponendole il problema di un più efficace sfruttamento delle miniere e con esso la creazione di infrastrutture tecniche per il pompaggio dell’acqua, per l’aerazione, per il trasporto in superficie del minerale, per la trivellazione, per la lavorazione dei metalli con l’ausilio dei laminatoi, delle tagliatrici e dei magli ad acqua ulteriormente potenziati e velocizzati. Lo scienziato ed ingegnere Georg Bauer, più noto sotto il nome latino Agricola, descrive nel suo libro tre tipi di strumenti per estrarre acqua, sette tipi di pompe, sei dispositivi per prendere acqua con dei grossi secchi, in tutto sedici tipi di macchine per il sollevamento dell’acqua. Tutto ciò richiese studi, indagini e sperimentazioni nell’ambito della idrostatica, idrodinamica, dell’aerostatica, del moto dell’aria e della sua compressione; problemi alla cui soluzione si dedicarono Galilei, Torricelli, Herique e Pascal. « La storia dell’ Army [ dell’esercito] – scrive Marx ad Engels in una lettera del 25 settembre 1857 – mette in luce con maggiore evidenza di qualsiasi altra cosa l’esattezza della nostra concezione del rapporto esistente tra le forze produttive e le condizioni sociali». Il successo di Carlo VIII, disceso in Italia il 3 settembre 1494 con un esercito di trentamila soldati e dotato di un’artiglieria moderna, fu proprio dovuto a quest’ultimo fattore. Nella battaglia di Fornovo i francesi spararono più colpi di artiglieria in un’ora che gli italiani in un giorno.

Questo periodo segna una nuova tappa dello sviluppo storico mondiale e, non a caso, il XVI secolo fu definito un secolo di “rottura”: la disgregazione e la rottura dei rapporti feudali e il sorgere in Europa della produzione capitalistica sotto la forma della manifattura con la conseguente enorme divisione del lavoro e lo sviluppo delle forze produttive. Gli uomini ripresero a viaggiare, ad avere contatti, a scambiare merci. Le scoperte di nuove terre in America e in Africa davano impulso grandioso ai commerci e ai traffici, con conseguente aumento delle ricchezze; l’oro e l’argento che giungevano nei porti europei divenivano moneta; aumentava la popolazione, e crescevano quindi le richieste di cibo, di abiti, di ogni oggetto. Si aprivano canali e strade e si rendevano più sicure le vie di comunicazione per permettere agli uomini e alle merci spostamenti più rapidi.

Tuttavia questo processo di perfezionamento dei mezzi di produzione e di sviluppo delle tecniche produttive mutava nello stesso tempo la natura del vecchio artigiano medievale. Acutamente, nel Capitale, Marx osserva:« Il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come la loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa; e per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma dall’altro lato questi affrancati diventano venditori di se stessi soltanto dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. E la storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti  di sangue e di fuoco».

I problemi della meccanica dei corpi celesti, che impegnarono i maggiori scienziati del tempo – Keplero, Galilei, Gassendi, Wren, Halley, Hook, ecc.- , abbracciano quasi tutta la fisica e se li confrontiamo con le esigenze tecniche dei trasporti, dei mezzi di comunicazione (terrestri e marittimi), dell’industria in generale e di quella della guerra in particolare, non possiamo non concludere che quei problemi sono fondamentalmente determinati da queste esigenze.

Ai primi di gennaio del 1610, quando Galileo puntò il suo cannocchiale (un identico esemplare lo aveva già venduto quasi un anno prima alla Repubblica di Venezia fruttandogli uno stipendio più che generoso di mille fiorini e la conferma a vita della cattedra padovana) sulla Luna, trovò la conferma sperimentale dell’ipotesi kepleriana della irregolarità della superficie lunare simile a quella terrestre, con la sue valli e le sue montagne delle quali ne calcolò l’altezza. Capì, inoltre,  la natura riflessa della luce lunare.

Iniziò così l’esplorazione degli spazi infiniti siderali (immaginati già da Giordano Bruno), a partire dalla Via Lattea, formata da un grandissimo numero di stelle, e dei pianeti. Scoprì le fasi di Venere e dal 7 al 13 gennaio del 1610 scoprì i quattro satelliti di Giove che dimostrarono sperimentalmente l’esattezza dell’ipotesi copernicana e l’inconsistenza del paradigma aristotelico- tolemaico. Affascinato da gruppi di stelle del cielo invernale puntò il cannocchiale sulla cintura e la spada di Orione, sulle Pleiadi, osservando per la prima volta al mondo la nebulosa di Orione e quella del Presepe. Era tutto un mondo nuovo che per la prima volta giungeva a conoscenza degli uomini. Tutte queste sensazionali e fondamentali scoperte avvenute nell’arco di 55 notti passate «al sereno et al discoperto», furono raccolte nel libro Sidereus Nuncius che egli pubblicò il 13 marzo 1610 con dedica a Cosimo II de’ Medici.

In meno di una settimana furono esaurite tutte le copie e la sua fama si diffuse rapidamente in ogni angolo del mondo. Il giorno stesso che il libro vide la luce l’ambasciatore inglese a Venezia si precipitò a mandarne una copia al re Giacomo I; nel 1612 arriva a Mosca e in India, tre anni dopo se ne ebbe una sintesi in lingua cinese; nel 1631 fu segnalato in Corea e nel 1638 in Giappone e nel 1640 il nome di Galileo venne traslato in cinese, diventando Chia-Li-Lueh. Così il cannocchiale,da semplice giocattolo e curiosità, divenne, nelle mani di Galileo, il più importante strumento scientifico di esplorazione del cosmo, antesignano dei nostri moderni telescopi terrestri e spaziali.

Il filosofo inglese Francesco Bacone, sempre sensibile alle innovazioni tecnologiche, nel suo scritto Descriptio globi intellectualis del 1612 si complimentava «con l’industria dei meccanici…con lo zelo e l’energia di certi uomini dotti, che poco tempo addietro, con l’aiuto di nuovi strumenti ottici, come usando scialuppe e piccole barche, hanno cominciato a tentare nuovi commerci con fenomeni del cielo».

L’apparizione del Sidereus, (un libriccino di pochissime pagine), senza dubbio costituì una svolta epocale destinata a trasformare e rinnovare non solo l’astronomia, la filosofia i letterati e gli artisti, ma l’intera società umana. Furono abbattute concezioni e credenze radicate e pietrificate da tempi immemorabili che ritenevano il cielo fosse il luogo della perfezione e della inalterabilità perché costituito da una sostanza perfettamente cristallina e perfettamente trasparente, dunque, diceva Galileo, perfettamente inutile. Poeti ed artisti più ricettivi, ponendosi decisamente sulla strada aperta da Sidereus, «cominciarono a costruire una nuova estetica e una nuova etica nelle quali alla simmetria e alla moderazione si sostituivano, come canone di bellezza e di virtù, la profusione e la sovrabbondanza». Non a caso il prof. Enrico Bellone (il più coerente continuatore del pensiero di Ludovico Geymonat), nel suo libro Galileo (Ed. Le scienze 1998), dice del Sidereus «può essere considerato come uno dei libri più importanti che mai siano stati scritti».

Tuttavia la scienza ufficiale, i cui centri erano le università medioevali di tradizione feudale e peripatetica, si oppose attivamente allo sviluppo della nuova scienza. Le università formavano quasi esclusivamente ecclesiastici e giuristi. La Chiesa era il centro internazionale del feudalesimo ed era essa stessa un grande proprietario feudale: non meno di un terzo delle terre nei paesi cattolici le apparteneva. La lotta tra università e scienza non accademica, che serviva gli interessi della nascente borghesia, era il riflesso ideologico della lotta di classe tra feudalesimo e borghesia. La borghesia ebbe bisogno della scienza e la scienza nacque insieme alla borghesia malgrado la Chiesa (Engels). La borghesia in ascesa pose la scienza naturale al suo servizio, al servizio delle forze produttive.

Ciononostante, pur essendo il fattore economico e lo sviluppo tecnico la base di ogni trasformazione sociale, esso non è il solo fattore determinante. Marx ed Engels criticarono duramente coloro i quali avevano forzato il materialismo storico nelle strettoie di una simile rozza concezione. Ma lo sviluppo delle teorie e l’attività individuale dello scienziato sono influenzati da varie sovrastrutture, quali le forma politiche della lotta di classe, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi. Dunque per comprendere appieno l’opera di Galileo e gli aspetti delle sue capacità creative, dalla fisica alla filosofia, occorre esaminare più a fondo il processo storico nel quale fu immerso.

L’epoca nella quale Galileo visse ed operò si colloca tra le due grandi lotte della borghesia europea contro il feudalesimo, cioè tra la Riforma luterana in Germania con la conseguente grande guerra contadina e la Rivoluzione borghese in Inghilterra del 1649-1688. In entrambe la borghesia fu vittoriosa. La sua vittoria significò la vittoria dei diritti borghesi di proprietà su quelli feudali, della concorrenza sulle corporazioni, della nazione sul provincialismo, della scienza sulla superstizione, dei diritti borghesi sui privilegi medievali.

L’Italia restava divisa, sul finire del Cinquecento e inizio del Seicento, in almeno dieci Stati e Granducati, tra i quali un posto particolare era occupato dalla Repubblica di Venezia, in costante lotta contro lo Stato della Chiesa. La cultura era attraversata da profonde inquietudini, da contraddizioni di natura politica, religiosa, morale, determinate, oltreché dall’oppressione spagnola e dalla Controriforma cattolica, da una profonda crisi economica. La crisi si manifestava anche in alcuni grandi spiriti che si levarono contro il predominio della Chiesa in difesa del principio dell’autonomia del pensiero scientifico e del naturalismo rinascimentale.

Giordano Bruno fu sottoposto ad un lungo processo da parte della gesuitica Santa Inquisizione e alla fine fu bruciato vivo a Roma in Campo dei Fiori (1600); fra’ Paolo Sarpi subì persecuzioni per essersi fatto paladino dei diritti dello Stato nel conflitto giurisdizionale tra Venezia e la Sana Sede (1605-1607); Tommaso Campanella subì ventisette anni di carcere, dal 1599 al 1626, per le sue idee politiche e religiose. Tutti si possono considerare, insieme a Galileo, veri e propri martiri del pensiero moderno.

Quando il 15 febbraio del 1564 nacque Galileo, il Concilio di Trento della Controriforma aveva da un anno chiuso i battenti. Nel novembre dello stesso anno il pontefice Pio IV pubblicò il documento la Professione di fede tridentina, nel quale si riconfermava il primato papale consistente nella sua infallibilità, ancor più di quanto non lo fosse, una monarchia assoluta, nella quale tutto il potere si assommava nelle mani del papa, conformemente alla tradizione medioevale e allo spirito dei tempi, cioè all’affermarsi dell’assolutismo politico in tutti i paesi d’Europa.

Fu riesumata la Santa Inquisizione istituita da Innocenzo III contro i Patari, i Catari, e i Valdesi (  inizio XII secolo). I tribunali dell’Inquisizione furono sottratti alla giurisdizione dei Vescovi e posti alle dirette dipendenze della Congregazione del Santo Uffizio, con sede in Roma. Fra le misure più liberticide della Chiesa romana fu la istituzione della Congregazione dell’Indice che aveva il compito di esaminare le opere più “pericolose” per la fede e quindi bruciarle. La rigidità dell’Indice suscitò tra gli scienziati un panico spaventoso e il fallimento dei grandi editori italiani. Dice Gramsci nel suo volume Il Risorgimento ( Ed. Einaudi,1952)  che «le opere italiane del Bruno, del Campanella, del Vanini, del Galilei sono stampate integralmente solo in Germania, in Francia, in Olanda. Con la reazione ecclesiastica che culmina nella condanna di Galileo finisce in Italia il Rinascimento anche fra gli intellettuali.».

Attraverso processi, torture e roghi l’Inquisizione cercò di impedire con ogni mezzo la diffusione della nuova scienza. Come ben capì fra’ Paolo Sarpi, attraverso l’accettazione dei Decreti tridentini passò anche il riconoscimento del potere di governo della Chiesa romana su tutto il mondo cattolico, al di sopra delle frontiere degli Stati nazionali. Tuttavia il Concilio, per tutta la sua durata, rimase soggetto agli esiti dello scontro politico-militare tra i piani di dominio di Carlo V, la forte rivalità della monarchia francese e le resistenze degli Stati germanici.

In questo quadro si colloca la lotta dell’emergente borghesia europea contro il potere assoluto del re, il feudalesimo  e l’assolutismo della Chiesa ufficiale dominante. Lotta che fu condotta dalla borghesia all’insegna della democrazia, della tolleranza religiosa e della separazione tra pensiero scientifico e pensiero religioso. In questo senso l’opera di Galileo fu titanica, come ci ricorda Ludovico Geymonat nel suo bel libro Galileo Galilei: «egli occupa un posto di primissimo piano nella storia del pensiero filosofico, per la sua coraggiosa azione di rottura, per la sua vittoriosa lotta a favore dell’autonomia della ricerca scientifica, per la fiducia nella ragione che egli seppe infondere tra larghissime schiere dei suoi contemporanei. Nell’atto stesso in cui riconosco che egli non può essere elevato a simbolo di questo o quel sistema filosofico particolare, mi sembra doveroso riconoscere che egli è l’uomo più atto a simboleggiare l’era moderna; anzi è qualcosa di più: ne è l’iniziatore; ne è il tenace, invincibile animatore».

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