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CHI   HA   IL   POTERE   IN   CINA? di Piero De Sanctis

Questa è la domanda chiave, da porsi ogni qualvolta si cerca di capire quale sia la struttura economica e sociale di una Nazione, in particolare quella della Cina, e, alla quale gli storici, gli intellettuali e gli studiosi sono chiamati a dare una risposta. Certamente non basta scrivere lunghissimi articoli di giornali, né fare ottimi reportage televisivi, cantando, superficialmente, le lodi dei grandi risultati economici (600 milioni di cinesi tolti dalla povertà in pochi anni), e tecnico-scientifici-spaziali, se non si risponde alla domanda posta: chi comanda in Cina? Ebbene, per capire fino in fondo come ciò sia stato possibile è necessario rivolgerci alla storia passata.

Non vi è dubbio che, all’origine del crollo dell’imperialismo c’è la Rivoluzione di Ottobre del 1917, che diede un impulso grandioso alle lotte di indipedenza coloniale, liberando miliardi di uomini dall’oppressione dell’imperialismo anglo-americano-francese. È vero che, anche prima del ’17 c’erano stati nei paesi coloniali e semicoloniali rivolte, insurrezioni e movimenti rivoluzionari di contenuto anticapitalista, nonostante che la pubblicistica borghese, allora imperante, sostenesse la falsa tesi che il movimento di liberazione fosse il portato naturale del capitalismo.

Il primo dei paesi europei che cercò prepotentemente di penetrare in Cina, fu l’Inghilterra nel 1793, che esigeva dal governo cinese l’apertura al commercio inglese di una serie di porti, la concessione agli inglesi del diritto di stabilirsi e di circolare in Cina. In realtà l’importazione dell’oppio in Cina, da parte degli inglesi, era cominciata sin dal 1775 della Compagnia delle Indie. Dopo una serie di incursioni piratesche, compiute dalle navi da guerra inglesi, l’Inghilterra dichiarò ufficialmente guerra alla Cina nell’aprile del 1840 (Prima guerra dell’oppio,1840-1842), avendo il governo cinese respinto tutte queste richieste.

L’oppressione feudale e la penetrazione del capitale inglese crearono in Persia un’ondata di malcontento popolare che sfociò, verso la metà del XIX secolo, nelle cosiddette rivolte dei babisti, seguaci di Bab, intermediario tra il popolo e l’atteso messia. L’insurrezione dei babisti venne soffocata nel sangue nel dicembre 1850 e i loro dirigenti furono crocifissi pubblicamente dopo immani torture. Ed ancora, in India settentrionale, ci fu la grande rivolta del 1857 dei cipayes (mercenari indiani) contro i colonialisti inglesi. I cipayes, non solo si unirono al popolo insorto, ma divennero la forza armata principale del popolo per l’indipendenza dell’India. E ancora in India si verificarono, nel decennio precedente la prima guerra mondiale, moti insurrezionali. La prima guerra mondiale aveva dato all’imperialismo giapponese l’opportunità di stabilire il suo dominio sulla Cina. Alla Conferenza di Washington del 1922 delle otto potenze: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Portogallo, Giappone, fu sottoscritto un patto che, di nuovo, poneva la Cina sotto il dominio degli Stati imperialisti.

In Cina, nella primavera del 1918, Li Ta Ciao, professore di storia dell’Università di Pechino, fondò tra gli studenti una «Società per lo studio del marxismo», alla quale aderì Mao Tse-Tung, allora impiegato nella biblioteca universitaria. Fu l’inizio della diffusione e della circolazione delle idee del marxismo e del leninismo nel movimento studentesco cinese. Ad esso si unirono i primi scioperi politici degli operai di Sciangai e di altri centri industriali che portarono alla grande manifestazione del 4 maggio 1919, aprendo un nuovo periodo nella rivoluzione cinese.

Nel 1921 nasce il Partito Comunista Cinese (Pcc), dalla confluenza di alcuni gruppi di intellettuali rivoluzionari. Alla sua fondazione, che fu anche il primo congresso del partito, parteciparono 12 rappresentanti (tra cui Mao Tse-Tung) dei circa 50 membri iscritti in tutto il paese. Erano presenti due delegati della III Internazionale (marzo 1919) a testimonianza dello stretto legame tra il Pcc e l’Internazionale comunista. Grazie a questo legame il neonato partito comunista venne a conoscenza dello scritto fondamentale di Lenin: «Tesi sulle questioni nazionale e coloniale».

In tale scritto Lenin, sulla base dell’esperienza dei movimenti rivoluzionari nelle colonie, traccia e definisce la strategia e la tattica dei partiti comunisti nei paesi coloniali. Scrive Lenin: «…i partiti comunisti nei paesi coloniali dovranno sostenere e sosteremo i movimenti borghesi di liberazione nei paesi coloniali solo quando tali movimenti siano effettivamente rivoluzionari, solo quando i loro rappresentanti non ci impediscano di educare e organizzare in senso rivoluzionario i contadini e le grandi masse degli sfruttati. In assenza di tali condizioni anche nei paesi arretrati i comunisti devono lottare contro la borghesia riformista».

Così, nell’agosto del 1938, «il Comitato Centrale del Partito comunista cinese inviò una lettera al Comitato esecutivo del Kuomintang che ponesse fine alla guerra civile e che venisse formato un fronte unito dei due partiti per la lotta comune contro l’imperialismo giapponese». (da uno scritto di Mao del settembre 1937). Tuttavia, la lettera precisava che il Pcc era pronto a concludere un accordo antigiapponese con qualsiasi unità del Kuomintang a tre condizioni: 1) cessare gli attacchi contro l’esercito rosso, 2) accordare la libertà alle masse popolari, 3) armare il popolo.

Per Lenin è fondamentale tenere sempre presente la differenza tra popoli oppressi e popoli oppressori, così come è importante constatare i fatti economici concreti e, nel risolvere tutti i problemi coloniali e nazionali, iniziare non da premesse astratte, ma dai fenomeni della realtà concreta. «Sarebbe utopistico – dice Lenin- pensare che i partiti proletari possano applicare una tattica e una linea politica in questi paesi, senza stabilire determinati rapporti col movimento contadino e senza fornirgli un appoggio effettivo».

Lo studio e l’acquisizione di tali principi e insegnamenti da parte del Pcc, costituirono la base e la bussola di un’analisi scientifica estremamente attenta, concreta e flessibile che portarono il movimento rivoluzionario alla vittoria. Principi teorici che già ritroviamo nei primi scritti di Mao del marzo del 1926: Analisi delle classi nella società cinese; Una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria del 1930; Come determinare l’appartenenza di classe nelle campagne del 1933; La rivoluzione cinese e il partito comunista cinese del 1939; Sulla nuova democrazia del1940; Sul governo di coalizione del 1945.

La lotta si protrasse dal 1946 al ’49 e si concluse con l’impetuosa avanzata dell’Esercito rosso cinese da nord a sud della Cina e la totale sconfitta degli aggressori giapponesi. Chiang Kai-shek si salvò rifugiandosi coi resti del Kuomintang nell’isola di Formosa sotto la protezione americana. Tuttavia, Mao, nel suo importante articolo dell’aprine del 1946, con lungimiranza, esprimeva alcuni giudizi sulla situazione internazionale: «Le forze della reazione internazionale [Stati Uniti, Inghilterra e Francia, ndr] preparano effettivamente una terza guerra mondiale, ed il pericolo di guerra esiste. Ma le forze democratiche dei popoli di tutto il mondo sono superiori alle forze reazionarie, e continueranno ad avanzare; esse devono e possono superare il pericolo di guerra. (Mao, Alcuni giudizi sull’attuale situazione internazionale).

Il 1º ottobre 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese. Gli spettacolosi risultati conseguiti dal primo piano quinquennale cinese 1953-’57, l’ulteriore balzo in avanti compiuto dall’industria nel 1948, il continuo aumento della produzione agricola, la sconfitta della fame, la diffusione dell’istruzione e della cultura. Iniziò così l’opera di edificazione della società socialista che ha mutato, e muta profondamente la storia del mondo e, che, tuttora seguita.

Teramo 2 ottobre 2025

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