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LA GRANDE FAKE NEWS: DENARO CHE CREA DENARO di Piero De Sanctis

Molti valenti studiosi e intellettuali, ancora oggi, senza riflettere, si ostinano a ripetere una delle più grandi deformazioni del pensiero economico secondo cui il denaro genera miracolosamente denaro incrementato, al pari del miracolo biblico della moltiplicazione dei pani e dei pesci. È vero che il pensiero di Marx sia stato, sin dalle origini, osteggiato, nascosto e deformato, ma non fino al punto di rendere, questi nostri studiosi, del tutto ciechi. D’altronde hanno sempre ignorato la significativa e luminosa storiella raccontata da Goethe: «un maestro chiede ad un suo giovane scolaro quale fosse l’origine del patrimonio della sua famiglia. Il ragazzo risponde – mio padre lo ha avuto in eredità dal nonno. Ma il maestro incalza – e tuo nonno da chi l’ha avuto? – da suo padre – risponde ancora lo scolaro. E così, risalendo di generazioni in generazioni, il maestro gli chiede: «ma il tuo capostipite come l’ha avuto il patrimonio?» «Lo ha rubato», rispose lo scolaro».

Lo scolaro aveva colto l’essenza del mondo capitalistico. Se si vuole incrementare il proprio patrimonio (o capitale) esso deve necessariamente passare attraverso la produzione materiale delle merci. Non c’è un’altra via per l’arricchimento del capitalista, tranne quella di rubare le ricchezze altrui, siano essi uomini o nazioni, come dimostra la funzione della Borsa: il Sancta Sanctorum dove i capitalisti più grandi rubano il patrimonio a quelli più piccoli. Oggi, nel mondo, i grandi complessi bancari (che si possono contare sulle dita di una mano), detengono la quasi totalità della ricchezza mondiale.

Che cosa sono e che contenuto di classe hanno le passate guerre coloniali, le aggressioni e spogliazioni di interi popoli, da parte di Paesi più forti e potenti, se non quello di appropriarsi delle fonti di materie prime e delle ricchezze altrui? La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America ieri, oggi delle terre rare dell’Ucraina e delle fonti energetiche della Groenlandia, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, la conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale, ecc., sono i segni più evidenti dell’appropriazione delle ricchezze altrui. «Il capitale viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro» (Marx).

Ciò che la favoletta, denaro che crea denaro incrementato, cerca di nascondere, è proprio la più grande scoperta economica di Marx: la scoperta del plusvalore, che non è altro che pluslavoro non pagato dell’operaio, indipendentemente dalla forma che esso assume: profitto, interesse, rendita fondiaria. L’aver chiarita la natura del plusvalore – dice Lenin – come legge basilare del metodo di produzione capitalistico è la «pietra angolare dell’intera teoria economica marxista». Il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile fornisce il saggio di sfruttamento del lavoro operaio (Saggio di Plusvalore = Plusvalore / Capitale variabile). Il capitalista per incrementare il plusvalore ricorre al prolungamento della giornata lavorativa e all’aumento dei ritmi di lavoro, fino al limite massimo di sopravvivenza dell’operaio. In parole povere il lavoro dell’operaio pagato è uguale al suo salario, il lavoro dell’operaio non pagato è uguale al profitto del capitalista.

Per ottenere il plusvalore il capitalista deve trovare sul mercato una merce il cui stesso valore d’uso abbia la proprietà peculiare di essere fonte di valore: una merce il cui uso sia, al tempo stesso, un processo di creazione di valore. «Tale merce esiste. Essa è la forza-lavoro dell’operaio» (Marx). Il salario è l’espressione in denaro del valore della forza-lavoro, il suo il suo prezzo. Precisamente, parte di questo aumento di plusvalore si trasforma in capitale, che è un peculiare rapporto sociale di produzione, storicamente determinato. Gran parte dei manoscritti di Marx del periodo 1861-1863, dedicata ad un’analisi storico-critica, raccolta, poi, sul libro Teorie sul plusvalore, doveva costituire il IV volume del Capitale, ma la morte prematura di Marx, ne impedì la pubblicazione.

Il libro Teorie sul plusvalore è di notevole importanza teorica perché, non solo Marx passa in rassegna le teorie economiche precedenti, da Adamo Smith a David Ricardo, mettendone in evidenza sia i meriti che gli errori, ma dimostra come la possibilità formale delle crisi economiche periodiche del capitalismo, sia insita nello sviluppo delle insanabili contraddizioni tra produzione sociale e appropriazione privata, e come tale possibilità, si trasformi in effettiva realtà.

Nell’ultima parte del libro, Marx mette in evidenza e denuncia il carattere apologetico e antiscientifico dei lavori degli economisti volgari (così definiti da Marx per la loro superficialità di analisi), i quali si sono posti come compito principale la difesa della schiavitù salariata e il mascheramento della sostanza dello sfruttamento capitalistico.

 

Teramo 25 aprile 2025

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